Arte iconografica bizantina e Chiese Bizantine in Salento e a Venezia.

di Apostolos Apostolou

Le chiese bizantine nel Salento anche le cripte nel Salento sono una delle testimonianze più importanti della lunga dominazione che vi fu sull’area del Salento da parte dell’Impero bizantino. L’arte bizantina si è espressa nel Salento (sino alla comparsa dei Normanni nell’XI secolo) in più forme ma in particolar modo all’interno di chiese e cripte le quali possono ancora essere visitate nei territori delle province di Brindisi, Taranto e Lecce.  Anche conosciamo che esse furono il frutto dell’attività di monaci basiliani assai presenti nei territori della Puglia e della Calabria, regioni più volte contese fra l’Impero Bizantino e Goti, Longobardi, Normanni, Saraceni. Le chiese sono state nei secoli, modificate o radicalmente sostituite, nella loro versione architettonica originale, da edifici e soluzioni con stili successivi, mentre le cripte o gli ipogei ad essere sopravvissuti sino a noi. Nelle Chiese come la Chiesa Santa Maria della Croce a Casarano, in provincia di Lecce, la Chiesa di San Mauro a Gallipoli in provincia di Lecce, Chiese rupestri a Ginosa in provincia di Taranto, la Chiese rupestri a Laterza in provincia di Taranto, la  Chiesa di San Lorenzo fuori le mura a Mesagne in provincia di Brindisi, la  Chiesa bizantina di San Salvatore a Sannicola in provincia di Lecce, la  Chiesa di San Pietro a Crepacore a Torre Santa Susanna in provincia di Brindisi, la  Chiesa di San Giovanni evangelista a San Cesario di Lecce in provincia di Lecce ecc, sono chiese puoi vedere l’ arte bizantina. Molte chiese erano state con blocchi in pietra locale –carparo-, di taglio irregolare, probabilmente asportati, per il riuso, dai resti di villaggi di età romana. L’iconografica è quella che avevano tutte le chiese bizantine. Il segreto dell’iconografia bizantina era la luce.

 

Possiamo vedere la luce della pittura bizantina per capire l’arte e l’iconografia.  Abbiamo una luce della “comprensione intuitiva”. La luce che illumina la pittura ortodossa non è una luce naturale che proviene da una fonte esterna concreta e che deve obbedire alle regole rigide e impersonali della diffusione lineare della luce, come accadde nell’arte occidentale. Si tratta invece di una luce “che scende da sopra” e illumina le immagini raffigurate da dentro. Possiamo dire una luce, senza una fonte concreta o un angolo d’illuminazione che romperebbero la rivelazione della sua onnipresenza. (Per esempio, vede: Chiesa rupestre di San Biagio, affresco con l’Annunciazione anno 1197. Affresco della Madonna col Bambino, San Basilio e San Nicola nelle chiese rupestri di Mottola, Affresco della Madonna col Bambino chiesa di Santa Maria della Croce Casarano, ecc.)

La luce secondo pittura Bizantina, o secondo tradizione iconografica, ha la sua raffigurazione simbolica. E’ la luce increata (gli atti increati secondo filosofo e teologo Gregorio Palamas), e si mescola con  l’alterità, dell’ operazione ipostatica che esprime, il pittore o l’ iconografo ortodosso. In realtà il pittore o l’iconografo, non c’è secondo artista e accademico Niko Hatzikyriako Ghika, è assimilato nella rappresentazione di un’entità. L’icona non ha soltanto un valore pedagogico, ma anche “misterico”, non solo la conduttività della luce ma un contenuto o luogo di Incontro con la persona dell’Icona, e diventa un linguaggio che equivale e  corrisponde  come i Testi Liturgici. L’iconografia è un’arte dello spirito più che della carne, e da questo punto di vista vuole essere avvicinata. Nella vita monastica svolte un ruolo importante, con l’arte e con il lavoro manuale, come medicina dell’anima. Ecco un episodio che dimostra come funzionava l’arte monastica.

 

L’imperatore bizantino Andonio Paleologo (1328-1341) visitò il monastero di Monte Athos (il Monte Athos è un’impervia cima rocciosa poco più alta di 2.000 metri) e ha incontrato il monaco e artigiano Atanasio. Quando vide un mobile con bellezza soprannaturale che aveva fabbricato o costruito il monaco Atanasio, chiede al monaco quale fosse il segreto.

 

– Qual è il segreto della misteriosa arte che ha applicato.

 

-Lui ha detto: Sono un artigiano semplice, e non ho un segreto particolare.

 

-Ma faccio questo, per prima cosa non sprecò  la mia potenza.

 

-Poi devo sforzarmi di sottomettere la mia mente all’euritmia* mi concentro per tre giorni e dimentico tutto.

 

– Dopo due giorni sono completamente indifferente per la mia reputazione. Il settimo giorno non mi fa sentire me stesso, distaccato dal mio corpo. Cosi la mia arte si trova in serena armonia con il cielo.

 

Mentre per il cristianesimo occidente secondo S. Agostino, per intendere convenientemente l’arte, è necessario oltrepassare l’anima dell’artista, per fissare lo sguardo nella grande armonia sempiterna (il numero) che vive nell’idea divina: (“Trascende ergo et animum artificis, ut numerum sempliternum videas”. De libero erbitrio I-II,C16 n.42).

Però secondo il pensiero greco l’idea non proviene come credono molti dall’eidos, e non è un puro concetto, o un conoscenza concettuale, ma la parola è connessa con il verbo idein (ἰδεῖν) che significa “vedere”, come si legge nel Lexicon philosophicum graecum (1615) di Rodolfo Goclenio (Rudolph Göckel): «Idea dicitur παρὰ τὸ ἰδεῖν, id est, a videndo vel cognoscendo, quia repraesentat in mente opificis opus illud, quod vult efficere, seu quia opifex aliquid ex arte facturus opus futurum habet in animo ita delineatum». Il verbo eidein , non  significa sapere, ma vedere, cioè è  una  esperienza visiva. Gli uomini preferiscono, tra tutte le sensazioni, la vista, sia a fini pratici, sia per se stessa.  Essa, infatti, ci fa acquisire più conoscenza delle altre sensazioni, e ci rivela molte differenze. L’uomo preferisce la vista, a motivo del fatto che egli acquisisce maggior conoscenza con la vista che con gli altri sensi; essa quindi è preferita per se stessa, e non per la sua utilità. Heidegger ha parlato di (Ereignis), Vedere per se stesso. E secondo  Derrida  la parola greca theorein – teoria  (dal verbo ορώ, cioè vedere) che  significa illuminare “la cosa”.

 

La filosofia bizantina è fondata sulla rilettura e rivalutazione del logos. Rifiuta le categorie proprie della razionalità (il razionalismo occidentale) e si riappropria di uno sguardo alogico e intuitivo che, tramite analogie e sinestesie, svela una rete di relazioni inedite. Cosi la filosofia bizantina  riesce  a penetrare il mistero delle cose, arrivando a intravedere una realtà ultima. Filtra i precisi dati descrittivi in mondo irrazionale. Nell’ino Akathistos abbiamo la frase «salve logo incontenibile» (Χαίρε λόγου αχωρήτου) significa che il  logo  sta  accanto (para, / paralogia) alla logica (alogia). L’alogia è l’aporia insista nel travaglio, dello sguardo, del tatto, del concetto. Alogia significa aporia dell’occhio, dello sguardo, del pensiero. Giovanni Climaco ha parlato di lutto amoroso, cioè quando il lutto si trasforma in gioia, ma in una gioia non passionale, sobria, velata di profondità.  Solo in questo modo potrà l’uomo penetrare in un mondo dai contorni indefiniti e udire l’eco di suoni lontani. Nella filosofia bizantina si nasconde un mondo popolato da innumerevoli simboli, suoni, odori, impressioni. Cosi abbiamo nella pittura o iconografia bizantina  la pittura di acheiropoietos. Ma che cosa è l’icona acheiropoietos?

Achiropita o acheropita, dal Greco bizantino ἀχειροποίητα (“ἀ-” privativo + “χείρ” = mano + “ποιείν” = fare, produrre), significa “non fatto da mano (umana)”.

Lo stesso aggettivo acheiropóietos serve a sottolineare l’alterità sovrana di Dio e della sua potenza e al tempo stesso la pe­netrazione trasformante della dimensione divina nell’umano fragile e caduco, in un dono permanente di questo amore.  La pittura è coincidenza di fenomeno e noumeno secondo l’arte bizantina.  Il visibile si trova  dinanzi ad un altro visibile. Possiamo dire che esiste in fondo il noumeno o non è piuttosto il fenomeno stesso? Il noumeno è invece la verità che si cela dietro il fenomeno, secondo ciberfilosofia. Le immagini acheiropoiete, sono quelle  che la mano non ha neppure sfiorato  l’occhio lascia trascorrere via volentieri alla propria stessa origine.

L’icona archeiropoietos, non è una conduttività della luce  ma  una chiamata- alla- relazione o anche il suo “folle amore” per chi lo riceve secondo il filosofo e teologo Gregorio Palamas. E funziona come “d’improvviso”. Diventa cioè vocazione erotica a partecipare all’alterità personale, unicità ma anche dissomiglianza. Non diventa però un’attrazione opera  con i termini del desiderio naturale ma rimane un’ attrazione non sottomessa alle predeterminazioni e alle necessità della natura.

 

Venezia fu parte integrale dell’ Impero d’ Oriente per secoli. Conosciamo che la basilica di San Marco e proprio la struttura è del tutto simile a quella dei Santi Apostoli a Costantinopoli. “Gli esempi più belli di architettura bizantina nella Laguna di Venezia presso l’Isola di Torcello sono la Cattedrale (Santa Maria Assunta) fondata nel 639 ma la cui costruzione attuale risale all’undicesimo secolo, e la Chiesa di Santa Fosca. A Murano invece la costruzione più notevole è la Chiesa dei Santi Maria e Donato, edificata nel 999. A Venezia la Basilica di San Marco è l’edificio religioso che più impersona l’architettura bizantina. La struttura di questa grandiosa basilica risale al XI secolo, mentre la chiesa originale fu fondata con l’arrivo del corpo di San Marco a Venezia, avvenuto nel 829. Altra chiesa della Venezia bizantina giunta fino ai giorni nostri è San Giacometto di Rialto la cui fondazione risalirebbe al 421 dc”.(https://alloggibarbaria.blogspot.com/) Con la caduta dell’Impero bizantino nel 1453 incrementò ulteriormente la diaspora greca verso Venezia e il numero dei rifugiati crebbe con l’estendersi dell’avanzata ottomana, così che i Greci diventarono la più importante componente straniera nella capitale della Serenissima.La popolazione complessiva dei greci a Venezia raggiunse le 4.000 persone circa. Il Senato veneziano  concesse  relativo permesso e si incominciò la costruzione per una  chiesa greca, con lo scopo l’unione con la Chiesa cattolica, ma quando i greci non volevano, l’ unione  fecero interrompere la costruzione della chiesa e limitarono le loro funzioni religiose alla sola chiesa di San Biagio , concedendo loro uno spazio all’interno della chiesa stessa.La chiesa di San Giorgio dei Greci a Venezia.L’edificio nacque come chiesa greco-cattolica, divenendo la sede religiosa e il punto di riferimento in modo particolare dei marinai balcanici e orientali di passaggio nella città, la cui professione di fede li accomunava.

 

*Euritmia: È un termine che deriva dal greco composto da due elementi, il dittongo “eu” che significa buono e la parola ritmo cioè tempo. L’euritmia si riferisce alla successione armonica di manifestazione di vita. Significa anche giusta vita che vuole ricondurre il ritmo della natura e dell’universo.

 

 

Apostolos Apostolou

Scrittore e prof. di filosofia.