Il Comitato Mi’mpegno insieme ad altre associazioni, in occasione della Giornata della salute mentale ha visitato La stanza di Alda.
Carmelo Ferraro racconta e descrive questo mondo.
Un luogo ricco di oggetti, ricordi e simboli.
Nel 1947, Alda Merini ha solo sedici anni e viene internata per la prima volta nella clinica psichiatrica Villa Turro dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare.
Alda Merini viene spesso nominata la poetessa della pazzia, piuttosto si può dire che è la cantrice della vita.
Alda, profondamente credente, ha vissuto di poesia e di fede e ha sempre lasciato che la comprensione della vita spettasse a chi è più in alto di noi. “È la vita che ci dà un senso, sempre che noi la lasciamo parlare”. “Io il male l’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente. È diventato poesia. È diventato fuoco d’amore per gli altri”.
La stanza di Alda ci permette di fermarci e di fare una riflessione collettiva sulla salute mentale, sul concetto di esclusione e inclusione, sulla costruzione della nostra società e sul significato stesso della malattia e della cura. Tutto questo proprio in occasione della Giornata della Salute Mentale.
I numeri delle persone con problemi in questo ambito nel nostro Paese sono impressionanti, e ancora nascosti sotto una patina di vergogna, di indifferenza e di omertà.
Non ci può essere salute, non si può stare bene se non c’è la salute mentale.
Il benessere psicologico deve avere la stessa attenzione e tutela di quello fisico.
Deve diventare un diritto e una priorità per tutte e tutti. Dobbiamo parlarne di più e per questo abbiamo bisogno di figure paradigmatiche come Alda Merini che con la propria forza e la propria testimonianza hanno dato voce ai tanti che non sono riusciti a tirare fuori il proprio disagio, il proprio dolore.
La Merini ha attraversato il Novecento subendo tutte le umiliazioni che quel secolo ancora imponeva a chi soffriva di disturbi mentali. Alda patì in questo senso un doppio calvario, colpevole di essere malata di mente e per di più donna.
Ma, e proprio questa è stata la sua forza, “la poetessa dei Navigli” elaborò la sua esperienza drammatica riuscendo a elevare le sue sofferenze grazie alla poesia, facendola diventare un linguaggio universale.
La sofferenza che provava non doveva e non poteva essere la causa della ghettizzazione e dell’isolamento.
In questo le diedero una grande mano i suoi amici, grandi intellettuali che l’aiutarono a pubblicare e persone semplici che condividevano con lei le fatiche del vivere quotidiano.
Ecco allora l’importanza dell’amicizia, della vicinanza umana, del non dimenticare questa sofferenza presi della routine della vita o dagli stigmi di una società che ci vuole sempre perfetti.
Dobbiamo promuovere una cultura della salute mentale orientata alla lotta allo stigma e a favorire l’inclusione. Dobbiamo educare e sensibilizzare, attuando interventi per migliorare le condizioni di vita quotidiane dalla prima infanzia fino alla vecchiaia, e rinnovando il sostegno ad ogni iniziativa volta ad aumentare la consapevolezza sulla salute mentale e la conoscenza dei diritti in materia di salute mentale.
Prima riconoscere la parte fragile che c’è in ognuno di noi.
Poi riattivare una responsabilità sociale di tutti. Il territorio in questo deve essere considerato una comunità unica intorno al “paziente”.
La solitudine dei problemi di salute mentale fa spesso sì che vive questi problemi si rinchiuda su sé stesso: aprirsi, anche in questi momenti alla sofferenza dell’altro, sempre consapevoli che “nessun uomo è un’isola”, ancora una volta ci rende umani, e ci fa capire che la vita è degna di essere vissuta.
“Considerando il dolore degli altri ho potuto uscire dal manicomio, guai se mi fossi occupata soltanto del mio dolore, sarebbe stata veramente la fine”.
Carmelo Ferraro (Comitato MI’mpegno)