Nel sempre più coinvolgente Parco di CityLife, sono state inaugurate tre nuove opere d’arte contemporanea, che si aggiungono al percorso di ArtLine Milano, alla presenza del Sindaco di Milano, Giuseppe Sala e di Roberto Russo, Amministratore Delegato di Smart City Life.
Le opere sono: “Come fare?” di Rossella Biscotti, “Sundown” di Liliana Moro e “Where Strata Gather”, di Otobong Nkanga, che si aggiungono alle altre 12 sculture “site-specific”, già installate all’interno del Parco di CityLife e realizzate dagli artisti: Mario Airò, Alfredo Jaar, Kiki Smith, Adrian Paci, Riccardo Benassi, Judith Hopf, Maurizio Nannucci, Ornaghi & Prestinari, Wilfredo Prieto, Matteo Rubbi, Pascale Marthine Tayou e Serena Vestrucci.
Sono in fase di posa altre opere con le artiste Elisabetta Benassi e Adelita Husni-Bey, e tra qualche mese, saranno installate le ultime due, realizzate da Jeremy Deller e Shilpa Gupta, che concluderanno entro il 2023 il grande progetto d’arte pubblica del Comune di Milano con diciannove interventi permanenti di artisti internazionali.
L’opera “Where Strata Gather” di Otobong Nkanga (1974, Kano, Nigeria) consiste di cinque sculture realizzate con elementi naturali come pietra, marmo e argilla, collegate tra loro da tubi in acciaio. L’opera fa riferimento agli strati invisibili e nascosti del sottosuolo, tramite materiali che caratterizzano la composizione geologica del territorio lombardo. Le sculture ci invitano a riflettere sulla relazione tra il materiale grezzo e le possibili trasformazioni a cui questi elementi possono dar vita.
L’installazione “Sundown” di Liliana Moro (1961, Milano) è composta da trenta sedie in bronzo, da un elemento scultoreo in metallo di colore giallo simile a una tenda e da un diffusore acustico che trasmette in tempo reale i programmi di Radio Rai 3. Al momento del tramonto, un segnale acustico che si sovrappone alla radio abbassando il volume ci avverte che stiamo per assistere al giornaliero spettacolo naturale del passaggio dal giorno alla notte. L’ora del tramonto diventa dunque un dispositivo per condividere una trasformazione quotidiana e l’opera è il luogo in cui è possibile incontrarsi e condividere questa esperienza.
“Come fare?” di Rossella Biscotti (1978, Molfetta) è strutturata in cinque ‘isole’, realizzate con mattoni e cemento e messe in relazione tra loro. Una installazione che attraverso l’utilizzo di strutture modulari ispirate alla storia recente della sperimentazione architettonica, della pedagogia e del design radicale, ricompone un agglomerato urbano in miniatura che il visitatore può attraversare innescando un percorso esperienziale e percettivo.
Inoltre, l’opera di Serena Vestrucci, “Vedovelle e Draghi Verdi”, del 2017, che consiste nel redesign delle bocchette di alcune fontanelle dell’acqua pubblica, viene arricchita di un nuovo elemento.
Durante la settimana di Art Week 2023, nel Parco delle Sculture ArtLine di CityLife, si svolgeranno alcune visite guidate lungo tutto il percorso con Roberto Pinto e Katia Anguelova. La prenotazione è obbligatoria tramite mail a: artline.milano@gmail.com – Appuntamento alle ore 18:00 del 14, 15, 16 aprile davanti alla fermata Tre Torri della Metropolitana 5.
L’App “Smart City Life”, scaricabile gratuitamente, permette di conoscere approfonditamente la genesi di tutte le opere di ArtLine Milano e, nel tempo, consentirà di accedere a contenuti aggiuntivi in realtà aumentata elaborati direttamente dagli artisti.
Le opere già installate:
Mario Airò – Atrio dello sguardo sul futuro di Mario Airò (Pavia, 1961) è una scultura ipogea, sormontata da una cupola esterna realizzata in bronzo e ispirata dal cosiddetto “fegato di Piacenza” o “fegato etrusco” (risalente al II-I secolo a.C.). L’artista rovesciando il modo tradizionale di intendere questo oggetto divinatorio lo propone allo spettatore come un soffitto che va a coincidere con la volta celeste.
“Atrio dello sguardo sul futuro è un’installazione ambientale ispirata alla vocazione «ambientale/spazialista» dell’arte d’avanguardia milanese”, spiega Mario Airò – “Prende spunto dal fegato di Piacenza, un piccolo bronzo tardo-etrusco, che fungeva da mappa per la lettura delle interiora dell’animale sacrificale. Alle varie parti del fegato e alle sue protuberanze è sovrapposta una mappa celeste, in modo da attribuire le manifestazioni presenti in esso all’influsso di questa o quest’altra divinità. L’Aruspice poteva così leggere i segni e i presagi per il futuro. L’idea era di accostare questa radice ancestrale, un po’ctonia, a un luogo caratterizzato soprattutto dallo slancio verticale delle Tre Torri”.
Alfredo Jaar – Padiglione Rosso di Alfredo Jaar (Santiago del Cile, 1956) accoglie il visitatore all’interno di uno spazio perfettamente cubico che offre una visione alternativa del contesto di CityLife. Attraverso una grande vetrata rossa, l’artista ci invita a riflettere attraverso l’immagine trasformata della realtà circostante.
“Padiglione Rosso è una cornice che riporta CityLife da una scala gigantesca a una più umana”, racconta Alfredo Jaar, “una semplice cornice che regala all’osservatore una visione complessiva e la possibilità di avere tutto sotto controllo. Padiglione Rosso offre uno spazio di silenzio, di meditazione, di pensiero. Uno spazio per pensare allo stato della cultura e della finanza del mondo contemporaneo. Uno spazio per pensare allo stato della cultura e della politica del mondo contemporaneo. Padiglione Rosso è uno spazio di resistenza, uno spazio di speranza”.
Kiki Smith – Guardiane di Kiki Smith (Norimberga, 1954) presenta due sculture in bronzo, raffiguranti due gatte, collocate a breve distanza l’una dall’altra.
“Queste gatte sono due benevoli protettrici a guardia del quartiere” sottolinea Kiki Smith, “I gatti sono mistici compagni che ci donano gioia e conforto. Questi animali sacri, come molte altre creature viventi, sono oggi percepiti come un peso nelle città moderne. Abbandonati per motivi sociali ed economici, sono lasciati senza cure ed esposti a malattie. Spesso i loro organi riproduttivi sono distrutti per nostra comodità. Così come la perdita di varietà del mondo vegetale, anche la diversità genetica degli animali si va assottigliando. La mia opera per CityLife (Artline) si ispira ai gatti che vivono nel fossato del Castello Sforzesco”.
Adrian Paci – “Rudere”, di Adrian Paci (Scutari, Albania, 1969) è una struttura architettonica aperta sul retro e senza tetto. Le mura in cemento costruiscono un recinto che circoscrive e innalza la vegetazione presente al suo interno in uno spazio quasi sacro. Il parco di CityLife – con i suoi grattacieli, gli uffici e il centro commerciale – intreccia un dialogo emozionante con la forma quasi archetipica della costruzione, abitata da alberi da frutto legati a simbologie antiche – come il cachi che simboleggia la virtù, il melograno l’amore misericordioso, il fico la fertilità – o alla dimensione dell’eterno, come il cipresso che con la sua verticalità rimanda ad una dimensione sacra.
“Rudere si offre come spazio di riflessione sul rapporto tra uomo e natura, tra l’habitat costruito dall’uomo e quello offerto dal mondo vegetale”, spiega Adrian Paci, “immaginando un possibile ‘ritiro della presenza umana per dare spazio a uno sviluppo incontrollato della vegetazione. La struttura sta tra un rimasuglio antico e un non finito contemporaneo in uno stato di potenza, dove strutture geometriche e forme indisciplinate della natura convivono e dialogano tra di loro. C’è qualcosa tra il sacro e il profano, tra il fragile e il resistente. Ho voluto giocare con il colore del cemento riprendendo le fasce di colorazione leggermente diverse che troviamo nelle chiese romaniche o gotiche, che, però, in questo caso ricordano anche le assi delle casse che servono per il getto del cemento. L’opera si propone non soltanto come un oggetto da guardare, ma come uno spazio da vivere. Gli elementi viventi dell’opera, che sono gli alberi, invitano ad attivare una relazione tra l’uomo, la natura e l’artefatto”.
Riccardo Benassi – “Daily Desiderio” è un intervento pubblico formato da una struttura minimale in alluminio verniciato il cui nucleo pulsante è un display a LED bianchi. All’interno del display LED, Riccardo Benassi si impegna a trasmettere – grazie a un sistema di broadcasting remoto, integrato e autonomo – un nuovo messaggio testuale per ogni giorno della sua vita, dal giorno di inaugurazione dell’opera fino alla morte dell’artista stesso. Quando la morte dell’artista sopraggiunge, i messaggi ricominceranno da capo, in loop.
Riccardo Benassi è nato nel 1982 a Cremona, dopo una formazione nell’ambito della fenomenologia si è trasferito a Berlino, dove vive e lavora. Nel suo lavoro passa con disinvoltura dalle arti visive, alla scrittura, all’architettura, al design, alla performance, fino alla musica. Esploratore del vivere contemporaneo nella metropoli – Jimmie Durham lo ha definito “un artista delle città” – Riccardo Benassi è anche interessato al cambiamento indotto nelle nostre vite dalla tecnologia, elemento invisibile ma costantemente presente. Nella sua ricerca utilizza una metodologia che favorisce incontri, collaborazioni e connessioni in grado di ampliare costantemente il suo spettro d’indagine.
Judith Hopf – L’opera “Hand and Foot for Milan”, è composta da due sculture poste a poca distanza tra loro: una mano che spunta del terreno quasi a simulare un saluto e un piede appoggiato sul prato. Entrambi gli elementi sono di grandi dimensioni e vengono realizzati impiegando mattoni sagomati e sovradimensionati, modellati artigianalmente appositamente per quest’opera. Due forme provenienti dall’anatomia umana che sono state ingigantite e costruite con uno dei più classici materiali edili, che dialogano con un contesto architettonicamente molto connotato.
Judith Hopf (Karlsruhe, 1969) è un’artista tedesca che vive e lavora a Berlino. Le sue opere rivelano sin dagli esordi un atteggiamento autoironico attraverso il quale l’artista è capace di evidenziare e mettere in discussione situazioni legate sia al linguaggio dell’arte, sia al sistema sociale. Nella sua ricerca si è confrontata con diversi media come la grafica, la scultura, l’installazione, il film e la performance. I soggetti delle sue opere sono spesso animali, umani o oggetti umanizzati realizzati impiegando materiali d’uso quotidiano, come hardware di computer, vasi oppure materiali comuni da costruzione come i mattoni, il cemento o il ferro.
Maurizio Nannucci – L’opera “New Times for Other Ideas / New Ideas for Other Times”, è una doppia scritta realizzata con tubi al neon blu e rosso che l’artista ha ideato per essere posizionata sulla facciata del Padiglione 3, un edificio costruito nel 1923 dall’architetto Paolo Vietti Violi che rimane l’unico padiglione superstite della struttura espositiva della sede storica della Fiera di Milano. Seguendo uno schema più volte proposto dall’artista, lo spettatore (o più semplicemente il passante) si trova di fronte a due frasi quasi speculariche stimolano una nuova interpretazione del contesto spaziale e invitano a riflettere sull’idea di nuovo, sullo scorrere del tempo e sulle contaminazioni che tali concetti generano. In un luogo, CityLife, in cui gli interventi urbanistici e architettonici sono stati così radicali da aver modificato lo skyline della città e, di conseguenza, la vita quotidiana del quartiere, l’artista prova a stimolare una riflessione proprio sulle influenze che tali cambiamenti hanno sulla nostra vita e persino sul nostro modo di pensare o di concepire la stessa realtà. Tali ragionamenti sono rafforzati dal fatto che l’installazione si trova proprio sopra un edificio simbolico, una delle poche tracce che ci rammentano il passato e che ricopre anche la funzione di testimonianza vivente della precedente identità di quel luogo.
Maurizio Nannucci (Firenze, 1939) vive in Italia e nel sud Baden. Inizia la sua attività artistica a partire dalla metà degli anni Sessanta lavorando sulle relazioni tra immagini visive e il linguaggio attraverso l’utilizzo di numerosi media tra cui la fotografia, il video, il libro d’artista, le installazioni, la performance, la sperimentazione sonora e teatrale. A partire dal 1967 Nannucci comincia a produrre le sue prime opere realizzate con i neon, che costituiscono uno dei nuclei più importanti della sua produzione, in cui si intrecciano aspetti legati all’arte concettuale con una dimensione più poetica e dialogante con lo spettatore. Costruiti spesso come installazioni di grande formato questa tipologia di opere vengono realizzate dall’artista in stretta relazione con lo spazio architettonico. È stato più volte invitato alla Biennale di Venezia, a Documenta di Kassel e alle biennali di San Paolo, Sydney e Istanbul. Ha all’attivo mostre e opere permanenti nelle più prestigiose istituzioni internazionali.
Ornaghi & Prestinari – Opera realizzata con il contributo di CityLife per ArtLine Milano, “Filemone e Bauci”, è una fusione in alluminio raffigurante due colonne umanizzate che stazionano una accanto all’altra tenendosi a braccetto mentre osservano i nuovi grattacieli che si stagliano verso l’alto. L’architettura del passato osserva quella del presente. Filemone e Bauci secondo il mito greco invecchiano insieme sopportando le difficoltà grazie alla forza del loro legame, gli unici che abbiano aperto le porte della loro casa a Zeus e Ermes in cerca di accoglienza. Un’opera che possiamo considerare un augurio di convivenza e ospitalità per la città.
Valentina Ornaghi (Milano, 1986) e Claudio Prestinari (Milano, 1984) lavorano insieme dal 2009, partiti rispettivamente da una formazione nel disegno industriale e in architettura, hanno poi indirizzato i loro interessi verso le arti visive. Nelle loro opere Ornaghi & Prestinari realizzano opere con tecniche differenti tra loro come: l’installazione, la scultura, il disegno, l’incisione o anche il ricamo. In questa pratica artistica la ricerca sui materiali e la sperimentazione dei processi di lavorazione, artigianali o industriali, giocano un ruolo fondamentale. Tra i temi del loro lavoro ci sono il concetto di trasformazione, l’idea del prendersi cura e del riparare le cose di ogni giorno. Attenti alle qualità funzionali ed estetiche, questi artisti, attraverso l’esercizio e la delicatezza dei loro interventi arricchiscono poeticamente oggetti comuni e d’uso quotidiano.
Wilfredo Prieto – “Beso”, è un’opera costituita dall’unione di due pietre di grandi dimensioni collocate l’una di fianco all’altra. Entrambe sono di forma sferica e si sfiorano in un solo punto simulando l’azione di un bacio. L’ubicazione di quest’opera all’interno di un parco in cui esiste uno spazio pubblico rappresentato tra le altre cose dalle abitazioni, dagli uffici e dai centri commerciali, offre un legame con la storia dell’arte e la tradizione del giardinaggio.
Wilfredo Prieto è nato a Sancti Spiritus (Cuba) nel 1978, si è formato a l’Havana presso l’Higher Institute of Fine Arts (ISA). L’artista crea metafore visive utilizzando oggetti d’uso comune, attraverso le quali gli oggetti più banali subiscono uno spostamento di significato, suggerito in gran parte dai titoli delle opere stesse. L’artista opera così una rivalutazione degli oggetti modificando anche l’orientamento dello sguardo del fruitore. Tutto il suo lavoro è caratterizzato da una forte componente ironica. Wilfredo Prieto ha realizzato molte opere pensate per lo spazio pubblico.
Matteo Rubbi – L’opera “Cieli di Belloveso”, è composta da oltre 100 stelle in pietra, di dimensioni, forme, colori e materiali variabili. Le stelle sono sparse e incastonate nella pavimentazione di Piazza Burri. L’opera ricostruisce il cielo stellato visibile a Milano nella primavera del 600 a.C., data intorno alla quale Tito Livio colloca la leggendaria fondazione di Milano da parte del principe Belloveso, il racconto è ammantato di dati astronomici. Nella zona dello Zenith si trovano incise le coordinate temporali e storiche relative al cielo stellato presentato, una chiave che permette di leggere il disegno e di immaginare la città prima che tutta la sua storia cominciasse. Mettere oggi un cielo stellato, nel mezzo di una metropoli come Milano, ha un valore scardinante. Lo sviluppo smisurato delle città contemporanee ha determinato poco a poco l’estinzione delle stelle e del buio.
Matteo Rubbi è nato a Seriate (BG) nel 1980 ed è cofondatore dell’Associazione Cherimus, associazione radicata nella zona del Sulcis-Iglesiente in Sardegna che opera con l’obiettivo di integrare arte contemporanea e identità locali. Nelle opere di Matteo Rubbi il fruitore è invitato a rileggere il contesto in cui si trova e in alcuni casi anche il proprio ruolo all’interno della società. L’osservatore dell’opera non si limita ad essere uno spettatore passivo ma viene coinvolto dall’artista che lo invita a collaborare con lui, a volte durante il processo di realizzazione dell’opera (magari attraverso workshop da lui condotti), altre attivandola attraverso vere e proprie azioni: può capitare di dover giocare interpretando regole incomplete, oppure di dover agire all’interno di situazioni messe in scena dall’artista. La ricerca di Matteo Rubbi è spesso influenzata dall’interesse per la divulgazione scientifica e per gli elementi naturali; lo testimoniano le opere sul sistema solare, sull’universo e sulle costellazioni.
Pascale Marthine Tayou – “Coloris”, è composta da una pavimentazione in calcestruzzo raffigurante il planisfero terrestre su cui sono piantati un centinaio di pali metallici dai colori pastello e dalle dimensioni variabili, tra i 6 e i 12 metri di altezza, e sulla sommità di ognuno di essi è posizionato un uovo. L’installazione dà vita a un’esplosione di colori sia caldi, sia freddi, ma tutti intensi e luminosi che si riverberano sulla città.
Pascale Marthine Tayou (Yaoundé, 1967) vive e lavora tra Gand, in Belgio, e Yaoundé, in Camerun. Nel suo lavoro Tayou spazia tra i vari media usando indifferentemente l’installazione, la fotografia, il video, il disegno, e perfino i libri. La ricerca che l’artista conduce viaggiando da una parte all’altra del mondo è spesso legata all’analisi dell’identità sia culturale, con il ricorso a una gamma cromatica che ci ricorda i colori del paesaggio africano, sia individuale, come rivela la scelta di assumere ironicamente un nome femminile. Anche in Coloris l’intenzione è esplorare alcune delle questioni sollevate dalle migrazioni e dalla costituzione di un villaggio globale di cui è difficile stabilire contorni e confini precisi. Pascale Marthine Tayou si interessa agli effetti della circolazione di oggetti, idee e persone nel mondo, mescolando geografie, combinando simboli, tecniche e materiali, provenienti da tradizioni culturali diverse, allo scopo di creare nuovi significati e nuove interpretazioni della realtà.
Serena Vestrucci – Il progetto “Vedovelle e Draghi Verdi”, sceglie di non aggiungere nuovi elementi all’interno del parco, ma di intervenire su qualcosa che è già stato previsto per questo luogo: le fontanelle pubbliche. Con le loro strutture in ghisa dipinte di verde, le “vedovelle” di Milano sono l’immagine più storica inserita in quest’area completamente rinnovata. Il termine vedovelle è dovuto al loro continuo scrosciare di acqua, che ricorda il pianto di una vedova, altrimenti conosciute anche come draghi verdi per questa loro tipica bocchetta a forma di testa di drago. L’opera cerca un dialogo tra il contemporaneo e il classico, tra il cambiamento e la tradizione, tra la nuova e la vecchia Milano: per ciascuna fontanella installata del parco l’intervento consiste nella sostituzione del bocchello originariamente in ottone, da cui fuoriesce l’acqua, con una scultura di volta in volta diversa, un esemplare unico, ottenuto attraverso la lavorazione a mano di un modello in cera e la sua conseguente fusione in bronzo. Un gesto silenzioso di cui si accorge chi si avvicinerà per bere.
Serena Vestrucci è nata a Milano nel 1986, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera e l’Università IUAV di Venezia. Le sue opere nascono sempre da elementi quotidiani che vengono modificati e rielaborati attraverso un processo tanto manuale quanto concettuale. La materia utilizzata varia dall’uso di make-up, a ritagli di carta, al rumore di una goccia d’acqua. Il suo lavoro è il frutto di un approccio espressivo legato ad uno sfioramento non evidente ma costante della vita privata, al concetto di caso, all’applicazione di regole a contesti diversi. Non a caso la sua ricerca si è spesso concentrata sul tempo richiesto dall’esecuzione dell’opera, partendo dalla più ampia riflessione su cosa significhi per un artista distinguere tra tempo libero e tempo lavorativo, e se sia possibile farlo.