L’Italia è l’unico grande Paese europeo che non ha ancora superato le conseguenze della crisi del 2008 (un milione di posti di lavoro persi e 130.000 aziende chiuse).
Da allora gli investimenti in infrastrutture fisiche e tecnologiche sono diminuiti di un terzo. Se a questo si aggiunge che il settore è gravato da burocrazia, corruzione, organizzazioni malavitose si spiega in buona parte come il Pil sia ancora a -4,5 punti rispetto a quello precrisi (la Germania, per citare, è a + 14 punti).
Sono alcuni dei dati comunicati al Convegno di Studi “Le infrastrutture: snodo cruciale per la ripresa economica, tra regole, legalità e realizzazione” organizzato da ANSPC-Associazione Nazionale per lo Sviluppo dei Problemi del Credito, svoltosi nella sede milanese della Banca d’Italia. Con la premessa: le infrastrutture materiali e immateriali si stanno rivelando, in misura crescente, crocevia cruciale per lo sviluppo socio- economico del Paese. È indispensabile, però, prevedere per la loro realizzazione, in un’ottica legalitaria, un insieme coerente di norme adeguate ed al passo con le esigenze e le tempistiche del mercato.
I lavori sono stati aperti da Giuseppe Sopranzetti, Direttore della Banca d’Italia, Sede di Milano, seguito da Filippo Cucuccio Direttore Generale ANSPC che ha moderato la successiva Tavola Rotonda e dalla Relazione di Base di Nicoletta Parisi, Consigliere ANAC. I partecipanti alla Tavola Rotonda: Gustavo Piga, Ordinario di Economia Politica Università Tor Vergata – Roma; Maurizio Romanelli, Procuratore Aggiunto Procura della Repubblica di Milano; Carlo Fratta Pasini, Presidente Banco BPM; Giuseppe Governale, Direttore DIA; Antonio Calabrò, Vice Presidente Assolombarda; Stefano Cosimo De Braco, Gen. Com. Prov. Guardia di Finanza Milano.
Per recuperare la competitività del Paese, della quale le infrastrutture sono pilone portante, gli attori produttivi e la politica devono percorrere sentieri molto stretti: il debito pubblico, anzitutto, che obbligherebbe ad investimenti destinati esclusivamente all’aumento della produttività; evitare le contaminazioni corruttive e criminali (dato illuminante, il 38% delle aziende vittime/complici hanno sede nel cuore produttivo del Paese, la Lombardia); recuperare l’evasione fiscale; ridurre la burocrazia; rendere certo il quadro normativo.
Il 54% del tempo che trascorre tra l’assegnazione di un’opera e la sua realizzazione si perde nel passaggio di carte in innumerevoli uffici. Dei 317 miliardi stanziati per opere pubbliche è stato impegnato meno del 10% a causa della cosiddetta ‘burocrazia difensiva’, cioè la paura della pubblica amministrazione di prendere decisioni che potrebbero portare a qualche tipo di conseguenza, amministrativa o penale.
Se l’Italia piange, l’Europa non ride. Subito dopo la crisi del 2008, mentre gli Usa inondavano il mercato di denaro pubblico, l’Unione Europea varò il ‘fiscal compact’, strangolando un’economia che già faticava a respirare.
E torniamo alla criminalità organizzata. Finalmente si parla chiaro della cultura criminale che da alcune regioni si è estesa a tutto il Paese. Ha origini antiche. Da quando, per citare, gli eserciti alleati sbarcarono in Sicilia con l’aiuto della mafia e vennero nominati sindaci esponenti mafiosi. Fino allo stesso concetto di mafia nel popolo che ben viene esplicitato nella definizione di ‘donna mafiosa’ la quale equivale, nel detto comune, a donna bella.
Ci sono voluti decenni, e innumerevoli stragi, prima che la politica elaborasse efficaci contromisure che oggi sono un esempio per i Paesi d’Europa alle prese con il fenomeno. E’ necessario che si attrezzino velocemente. Perchè la criminalità organizzata è la principale nemica dello sviluppo e delle imprese delle quali condiziona l’attività e ne altera la libera concorrenza.