Il contratto di lavoro intermittente prevede che il datore di lavoro, nei limiti di legge, possa utilizzare la prestazione lavorativa del dipendente in modo discontinuo o intermittente. Si tratta di una forma di lavoro estremamente flessibile, spesso caratterizzata da un ridotto contributo all’input di lavoro e da una bassa retribuzione che rappresentano, nonostante i numerosi tentativi di regolamentazione a tutela dei lavoratori, elementi potenziali di un’elevata precarietà.
Nel periodo in esame (I trimestre 2010 – II trimestre 2023), il contratto intermittente ha registrato una rapida espansione – transitoriamente rallentata dagli interventi normativi finalizzati a contenerne l’uso improprio – che è stata frenata solo dalla crisi economica degli anni 2012-2014 e, successivamente, dall’emergenza sanitaria Covid-19. Il numero di questa tipologia di contratti tra il 2010 e il 2022 è raddoppiato, a fronte di una crescita più contenuta delle ore pro capite mensili mediamente retribuite (+31%) e delle retribuzioni orarie (+9%). Nel corso del periodo analizzato, tra i contratti intermittenti sono aumentati quelli a termine e, nel complesso, è quintuplicato il ricorso delle posizioni a chiamata nel settore dei servizi professionali e alle imprese.
Nel 2022, le posizioni con contratto intermittente sono 288mila in media mensile e rappresentano il 2,1% delle posizioni dipendenti totali; nell’89% dei casi la qualifica è di operaio e in oltre l’83% il contratto è a tempo determinato. Oltre il 48% delle posizioni con contratto intermittente sono nel settore degli alberghi e ristoranti, dove rappresentano quasi il 12% dell’occupazione complessiva; nel settore dei servizi professionali e alle imprese sono arrivate a rappresentare quasi il 3% (poco meno del 19% dei lavoratori intermittenti totali).
Tra i lavoratori intermittenti, nel 2022, le ore pro capite mensili mediamente retribuite ammontano a 44,5 e la retribuzione oraria lorda è pari a 11 euro. Nel settore degli alberghi e ristoranti si registra il valore minimo delle ore (39,6; -11% rispetto alla media), mentre nel settore delle attività professionali e a supporto delle imprese si osserva la retribuzione lorda più bassa, che arriva a 9,12 euro (-17% rispetto alla media). Questi due settori si caratterizzano anche per la quota più elevata di contratti intermittenti a termine (rispettivamente 86,8% e 84,2%).
Il lavoro intermittente mostra un’elevata stagionalità, con picchi di domanda nei mesi estivi – particolarmente evidenti nel settore degli alberghi e ristoranti – e in quelli a ridosso delle festività invernali, quando si concentra nel settore del commercio. Il terzo e quarto trimestre dell’anno registrano pertanto la più alta intensità lavorativa che, tuttavia, non supera mai i 33 punti percentuali (sono cioè necessari tre lavoratori intermittenti per raggiungere l’orario di un lavoratore standard a tempo pieno).
Le retribuzioni orarie dei lavoratori intermittenti mostrano i valori più elevati nel secondo e quarto trimestre dell’anno (in corrispondenza dell’erogazione della quattordicesima e tredicesima mensilità, pagate in relazione al totale delle ore effettivamente retribuite), una stagionalità che tuttavia nel corso del tempo si è affievolita a seguito della rapida espansione dei contratti a termine.
Nel secondo trimestre 2023, il numero di posizioni intermittenti raggiunge il valore massimo della serie storica, pari a poco meno di 312mila unità, grazie alla forte espansione rispetto al secondo trimestre 2022 (+6,1%); anche per le retribuzioni orarie il valore osservato è il massimo della serie, con una crescita rispetto allo stesso trimestre del 2022 del +2,3%; le ore pro capite mostrano invece una diminuzione sia rispetto al secondo trimestre 2022 (-1,6%) sia rispetto al secondo trimestre 2021 (-2%).
A partire da giugno 2024, le stime trimestrali sulla numerosità, sul contributo all’input di lavoro e sulle retribuzioni orarie dei lavoratori intermittenti saranno diffuse con il comunicato stampa trimestrale sul mercato del lavoro.