Il tema dell’intelligenza artificiale sta interessando tutti i settori: partendo dall’economia e finanza, ora tocca, con l’irruzione dell’AI generativa, anche ai settori più creativi. Un esempio evidente è ciò che è accaduto ad Hollywood nei mesi scorsi quando un intero settore, quello cinematografico, si è completamente paralizzato a causa dello sciopero di molti comparti dell’industria, tra cui gli stessi attori, minacciati dall’imperversare di questa nuova tecnologia. Se questo ha prodotto, come conseguenza, la necessità di sedersi intorno a un tavolo e riscrivere le regole, nel mondo della musica sono ancora molti gli interrogativi e le questioni aperte. Un esempio lampante sono le oltre 120 mila canzoni* che ogni giorno vengono caricate sulle piattaforme di streaming, circa 1,3 al secondo*. Questa operazione, a causa delle altissime spese, della sua complessità e della necessità di coinvolgere team specializzati, è sempre stata riservata alle case discografiche. Ad oggi però, lo scenario è mutato: il numero di canzoni pubblicate giornalmente è infatti aumentato di quasi 30 mila unità rispetto al 2022*, di circa il 40% ha meno di 10 plays e addirittura il 25% ha 0 plays*: Come si spiega tale fenomeno?
A rispondere Paolo Bigazzi Alderigi, membro di 4 associazioni di categoria – Anica (Unione Editori e Creatori Digitali), Emusa (Associazione di Editori Musicali), Idea (Italian Interactive Digital Entertainment Association), Afem (Association for Electronic Music) – che identifica le motivazioni per cui si dovrebbe sempre rendere noto quando l’AI è la realizzatrice di un brano musicale. Bigazzi Alderigi è anche docente al SAE Institute di Milano (https://www.sae.edu/ita/) per i corsi di Teoria degli Audiovisivi al dipartimento Audio, Legislazione dello Spettacolo al Dipartimento Film, Business Models e Game Design al dipartimento Games. Da 12 anni è editore musicale e da 25 anni è Produttore di musica elettronica per audiovisivo indipendente.
“Se una percentuale elevata come il 25% dei brani caricati ha 0 plays, significa che nemmeno l’autore del suo stesso brano lo ha mai ascoltato. Un fenomeno su cui bisogna riflettere, e che può essere interpretato alla luce dei cambiamenti che stanno avvenendo ad una velocità quasi quotidiana riguardo al rapporto tra AI e musica. Sorge quindi una domanda: e se a generare tali brani non fosse stato nemmeno un autore in carne ed ossa, ma proprio un’intelligenza artificiale? Tale scenario, se fino a qualche tempo fa non era minimamente contemplato, ad oggi risulta del tutto plausibile”. afferma Paolo Bigazzi Alderigi, professore di SAE Institute.
Del resto l’attualità ci ha già mostrato la potenza di tale strumento, che ha creato da zero un contenuto musicale di due artisti famosi senza che questi si siano mai incontrati in uno studio di registrazione per lavorare al brano. Si tratta del primo caso di fama mondiale di utilizzo dell’intelligenza artificiale nel settore della musica: la canzone “Called Heart On My Sleeve” in cui gli artisti Drake e The Weeknd duettano. Il tutto è stato possibile grazie a un particolare programma AI che ha clonato e riadattato le voci in pochissimo tempo. “Il problema di questo tipo di contenuti è che, se gli artisti non dichiarano in prima persona di non essere fisicamente loro gli interpreti, i brani realizzati con le varie tecnologie AI non sarebbero riconoscibili.” continua Bigazzi Alderigi – Urge quindi la necessità per i consumatori di comprendere cosa è creato da AI o da un uomo”.
Le problematiche
Oltre a non avere a disposizione strumenti che siano in grado di rivelare se un brano sia prodotto da AI o da un essere umano, la questione risulta problematica dal punto di vista legale, finanziario, economico, industriale e del diritto d’autore, dal momento che non ci sono ancora regolamentazioni definite e precise essendo questo settore ancora in continuo mutamento. “Negli ultimi anni sono state pubblicate le prime direttive europee in altri settori, come quello del customer care, in cui le aziende sono obbligate a dichiarare se la gestione avviene tramite un bot o una persona in carne e ossa. In questo senso, Universal sta istituendo con Google l’accordo per far sì che venga dichiarato che un determinato brano sia stato realizzato con un’ AI, anche se tale informazione non sarebbe sufficiente, ma andrebbe specificata anche la tipologia di AI e con quali contenuti e strumenti sia stato generato. Inizialmente il Copyright Office Americano ha negato alle opere generate dall’AI il titolo di opere dell’ingegno e quindi tutelate dal diritto d’autore. Ha poi rivisto la posizione, concedendo la copertura alle opere con un piccolo utilizzo dell’AI a patto che ci sia un operato umano dietro la sua realizzazione. Ciò parte da un assunto inevitabile: l’intero assetto del diritto d’autore è basato sull’opera dell’ingegno creativo di un essere umano. Per cui, se un’intelligenza artificiale è in grado di generare musica partendo da qualsiasi tipo di input (testo, descrizioni, altri brani di riferimento) il tema diventa più che mai complesso. Infatti, se ciò che viene realizzato ha come base di partenza elementi tutelati dal diritto d’autore in quanto creati da esseri umani, bisognerebbe necessariamente corrispondere una quota ai detentori dei diritti. La soluzione potrebbe quindi essere quella di inventare un nuovo diritto d’autore e dare nuovo conio a leggi non ancora esistenti, oppure usare le leggi esistenti ma con un’interpretazione estensiva?”, afferma Bigazzi Alderigi.
Come integrare e utilizzare al meglio queste nuove tecnologie?
“Il settore musicale è sempre stato interessato da cambiamenti e ammodernamenti, tanto che in passato ci sono stati altri episodi in cui le tecnologie, se accolte in prima battuta con diffidenza e timore, sono state “asservite” alla creatività umana, abbassando talvolta il livello di ingresso alla produzione di musica e rendendola più accessibile. Si pensi, ad esempio, all’invenzione di campionatori, drum machine e synth tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, il cui utilizzo è stato completamente sdoganato e accettato. L’interrogativo ai tempi era: la batteria elettronica significa dunque la morte di tutti i batteristi? Ciò naturalmente non è avvenuto, ma qualcuno ha eletto quegli strumenti ad un utilizzo lato e complementare rispetto ad un batterista puro creando nuovi generi musicali. Una modalità di integrazione che potrebbe essere replicata per l’AI, educando le nuove generazioni a farne un utilizzo virtuoso, in particolare nelle scuole e negli istituti come SAE, che forniscono agli studenti una formazione teorica e pratica sull’evoluzione della produzione musicale. Se la tecnologia viene studiata, compresa e applicata nei processi creativi umani allora potranno sorgere nuovi linguaggi e nuove modalità espressive. Credo che questo impegno distingua il percorso dell’artista nella sua ricerca di linguaggio e autenticità.”
I prossimi passi da compiere
L’attitudine che Bigazzi Alderigi suggerisce è quella di aggredire questa tecnologia, attraverso uno studio e un’analisi approfonditi. Soltanto in questa maniera se ne può fare un utilizzo virtuoso che permetta di asservirla alle nostre necessità, rendendola così co-compositrice o co-esecutrice assieme all’autore. Tutto ciò, però, può realizzarsi solo in uno scenario in cui venga sempre delimitato, chiarito ed esplicitato il ruolo dell’AI, di modo tale che l’utente finale abbia nota l’origine di ciò che sta ascoltando e non si senta in alcun modo ingannato da informazioni parziali o poco chiare. Inoltre, dal lato di chi fa musica e della tutela del diritto d’autore, è necessario retribuire correttamente chi ha prodotto i brani utilizzati per “allenare” l’ intelligenza artificiale…su quelli prodotti con la AI è questione forse meno facilmente affrontabile per ragioni tecnologiche…ma è un tema ancora aperto.
Ma la questione è comunque complessa: per esempio, se tramite l’uso di una AI si generasse un’ interpretazione di una voce di un artista per poi essere “montata” su un pezzo di un altro artista, a chi dovranno essere assegnati i diritti d’autore? A chi bisogna chiedere le autorizzazioni per utilizzare determinati brani o parti di essi? Come sarà possibile sapere su quali materiali l’AI si è “allenata”, così da poter corrispondere le giuste royalties? E soprattutto, il produttore della AI avrà avuto l’autorizzazione da tutti gli aventi diritto per attingere ai brani per allenare l’AI? Inoltre, la casa discografica detiene a sua volta i diritti sulla voce nella sua interezza, qualora venga utilizzato non un brano, ma addirittura il timbro vocale di un artista? Normalmente no, data la sfera di diritti della persona in gioco – si domanda Bigazzi Alderigi – sono tutte questioni aperte su cui vale la pena interrogarsi e su cui il dibattito dovrà presto trovare una risposta, per evitare che l’abuso di questa tecnologia impoverisca sempre di più il comparto culturale ed economico di un’ intera industria”
E’ possibile prevedere dei possibili scenari futuri?
Il tema dell’intelligenza artificiale è complesso e si evolve molto rapidamente. Secondo Bigazzi Alderigi oggi non siamo ancora pronti per comprenderne l’utilizzo sapendo sfruttare a pieno le potenzialità e, soprattutto, a livello legislativo ci sono ancora troppe incertezze. Le nuove tecnologie si sono sempre inserite nel mondo della musica in modo quasi “irruento” spiazzando gli artisti e gli utenti, ma successivamente sono state accolte e inglobate nell’atto artistico per generare opere uniche.
“Credo che questo succederà anche con l’intelligenza artificiale, se sapremo agire tempestivamente a livello di regolamentazione. Il rischio è che in futuro – un futuro che si misura in ore – l’uso contemporaneo e convergente di più intelligenze artificiali potrà dare vita a progetti oggi inimmaginabili in precedenza senza l’intervento umano. Ad esempio, si pensi alla creazione di un film in cui Chat GPT scriva la sceneggiatura, Midjourney elabori le immagini, StableAudio generi la colonna sonora. Tale scenario può apparire da un lato straordinario, dall’altro però dovrebbe porci sull’attenti e farci riflettere su quanto sia necessario imparare quanto più possibile su questi nuovi strumenti anche con formazione adeguata e farne un uso coscienzioso possibilmente guidati da una serie di leggi che ne regolino l’utilizzo e stabiliscano la paternità dei contenuti.” afferma in conclusione Paolo Bigazzi Alderigi.