Lo scorso 28 settembre, a margine dello spettacolo “Un estremo atto d’amore” all’interno della rassegna teatrale Milano Fringe Off Festival, nel ciclo “Off dell’off” si è tenuto un incontro dedicato al reinserimento sociale post detenzione, a cui sono intervenuti gli attori della compagnia teatrale Genovesebeltramo, esponenti della polizia penitenziaria, dell’Ufficio Interdistrettuale dell’Esecuzione Penale Esterna di Milano e del mondo dell’avvocatura.
In particolare è intervenuto l’Avvocato Carmelo Ferraro, dirigente dell’Ordine degli Avvocati di Milano e fondatore dell’Associazione M’Impegno. Pubblichiamo un estratto del suo intervento qui sotto.
Esiste una strada per la rinascita? Siamo in una fase storica molto delicata e credo che la risposta non possa fondarsi su pene “esemplari”.
Non ci serve una politica che prenda decisioni sulla base dell’emotività del momento.
Al di là del muro. Ogni uomo è una storia, ma è anche un futuro. Il nostro dovere è quello di dare una possibilità ad ogni persona di appropriarsi di una vita solida e libera, che tutti desideriamo.
Di fronte a noi abbiamo persone. Uomini, donne, minori, che hanno sbagliato e hanno il dovere di “pagare”, ma anche il “diritto” di rinascere.
La “giustizia riparativa”, allora, può essere la strada nuova, ma antica, che diventa un percorso di grande aiuto, verso una maggiore “responsabilizzazione del reo”. Non più il male per il male, ma una “giustizia di comunità” per una reale riappacificazione con il contesto sociale.
Possiamo vedere il bello anche nel carcere?
Il carcere è comunque mura e sbarre, ma si può trasformare; la bellezza è un modo di pensare. Bisogna portare le persone a pensare e a guardare al bello se si vuole che vedano il bello che è in loro.
In questi anni, di Comitato, di lavoro all’Ordine degli Avvocati di Milano, ho imparato che il carcere non è un luogo di punizione e privazione, ma è un luogo da cui può nascere vita, in cui le persone possono far scaturire qualcosa di buono, da cui far germogliare semi di bellezza.
C’è speranza?
La speranza. Dobbiamo ricercarla. Essa è posta nel più profondo del cuore di ogni persona perché possa rischiarare con la sua luce il presente, spesso turbato e offuscato da tante situazioni che portano tristezza e dolore.
Dobbiamo dare la certezza della presenza di una possibilità di rinascita, nonostante il male compiuto. Tutti apparteniamo ad un mondo fatto di sorrisi e lacrime, gioie e difficoltà e tutti possiamo cambiarlo, fare in modo che i sogni si avverino.
Dobbiamo crederci e fortemente perseguirli per scoprire la bellezza, in ogni volto, provando a costruire una società migliore.
La comunità civile può essere strumento di speranza se si fa prossima al carcere, ai detenuti, al personale. Tutti abbiamo un ruolo, che è fatto di vicinanza.
Ogni persona in carcere accompagnata, sostenuta e coinvolta in attività sociali, culturali e professionali è una possibilità di “respiro” per l’oggi e di reinserimento per il domani, perché il “fuori” non sia più il “nemico”.