“L’indagine aperta a Milano è frutto di una collaborazione tra Procura, Ispettorato del Lavoro e organi ispettivi degli ulteriori enti coinvolti e si basa su un modello di business delle piattaforme precedente all’intervento del CCNL rider, poiché la parte sino ad oggi oggetto di contestazione è fino ad ottobre 2020. In ogni caso, dopo le sentenze del Tribunale di Firenze e della Corte di Appello di Torino, anche la Suprema Corte di Cassazione ha tuttavia evidenziato, nella distinzione fra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, il valore determinante dell’accertamento della avvenuta assunzione, da parte del lavoratore, dell’obbligo contrattuale di mettersi a disposizione con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le direttive del datore di lavoro. Per il giudice, quindi, le piattaforme possono disporre della prestazione lavorativa dei rider solo se questi decidono di candidarsi a svolgere l’attività di consegna. Senza un obbligo di effettuazione della prestazione o una esigibilità della stessa, non vi è subordinazione”. Così il giuslavorista Gabriele Fava, in merito all’inchiesta avviata dalla Procura di Milano sui rider e le piattaforme digitali che operano nel settore del food delivery.
“Nell’ambito dei poteri di riqualificazione del rapporto degli Ispettori del Lavoro – continua Fava – le autorità hanno ritenuto che la fattispecie del rider ricadesse nelle collaborazioni coordinate e continuative di cui all’articolo 2 del D. Lgs. 81/2015, ossia collaborazioni parasubordinate. Dalle prime informazioni disponibili, tuttavia, l’Ispettorato ha basato il proprio convincimento sulla presenza nelle collaborazioni di cui trattasi degli elementi di personalità, eterodirezione e continuatività, elementi che, però, sono stati esclusi dalla giurisprudenza del lavoro chiamata a pronunciarsi sulla natura del rapporto di lavoro dei rider”.
Prosegue l’avvocato Fava sottolineando come “i modelli operativi mediante i quali le piattaforme operano in Italia sono tra loro differenti. Ciononostante le conseguenze sanzionatorie e le conclusioni cui è pervenuto l’INL sono le medesime per tutte le società coinvolte, senza un’effettiva differenziazione di analisi sulla base della singola situazione riscontrabile in una determinata piattaforma”.
Secondo il giuslavorista “è bene chiarire come questa riqualificazione opera ai fini amministrativi, ovvero nel rapporto tra le piattaforme e gli enti preposti. Non si tratta, infatti, di una sentenza di un giudice del lavoro, ma di un atto ‘unilaterale’ che, senza possibilità di contraddittorio, stabilisce in maniera univoca la qualificazione di un rapporto di lavoro, condannando il datore al pagamento di somme per le violazioni riscontrate”.
“Come tutti gli atti di quel tipo – sottolinea ancora Fava – i verbali notificati alle piattaforme potranno essere oggetto di impugnazione, sia tramite ricorso interno all’organo emittente sia innanzi al giudice amministrativo, per la sottoposizione ad una verifica di legittimità degli stessi.” Conclude Fava sottolineando come “per una compiuta analisi della fattispecie sarebbe necessario prendere visione delle carte, dei contratti di lavoro presi in esame da parte dell’Ispettorato, delle dichiarazioni rese, ecc. Senza tale documentazione risulta complesso effettuare una valutazione puntuale e commentare dal punto di vista tecnico le conclusioni a cui è giunto l’INL”.