Una cultura aziendale inclusiva e diversificata rafforza l’engagement e contribuisce ad aumentare la produttività a lungo termine, generando un incremento dei ricavi che può arrivare al 30%. Questa è l’evidenza emersa da uno studio condotto da GEA e Harvard Business Review Italia, con il contributo di GC Governance Consulting, Focus Management, Fondazione Diversity e Valore D, illustrato questo pomeriggio a Palazzo Mezzanotte a Milano durante il convegno “Inclusività competitiva” organizzato da Eccellenze d’Impresa.
Oggi la Diversity & Inclusion è un elemento cruciale per garantire la solidità economica ed etica delle aziende nel medio-lungo periodo, sia in termini di risorse umane che di performance di brand e di mercato. Diversity & Inclusion sono fattori critici di successo per l’impresa in generale e per quella italiana in particolare in quanto più piccola, flessibile e proiettata all’internazionalizzazione e all’innovazione, attività nelle quali la qualità delle persone, il loro benessere ed il loro contributo strategico, sono determinanti.
Dopo i saluti di Enrico Sasson, presidente di Eccellenze d’Impresa e di Fabrizio Testa, CEO di Borsa Italiana, Luigi Consiglio presidente di GEA Consulenti di direzione ha aperto i lavori.
“La capacità di lavorare sinergicamente sull’inclusione sia internamente che esternamente rappresenta un vantaggio competitivo per le imprese” ha spiegato Consiglio chiarendo che: “La comprensione delle singole forme di diversità, l’ascolto delle loro istanze e la capacità di trasformarle in azioni inclusive arricchiscono in modo più che proporzionale la brand equity riflettendosi sul posizionamento e sui risultati in termini di market share, fatturato e redditività, a parità di altre condizioni”. Consiglio ha anche spiegato come “la matrice artigiana delle nostre imprese e le difficoltà che siamo abituati ad affrontare per fare business in Italia spingono a guardare il mondo circostante con umiltà, abituandosi alla dote principale dell’inclusività: l’ascolto”.
Sul sostegno alla leadership femminile è intervenuta Patrizia Ghiazza, partner GC Governance Consulting. “Siamo fermamente convinti che il buon governo societario e la buona gestione di un’azienda si possano esprimere solo attraverso un bilanciamento di genere nei ruoli apicali e una leadership inclusiva e rispettosa delle diversità presenti nell’organizzazione. I nostri servizi di consulenza rispecchiano questi valori e questi propositi, aiutiamo le aziende a liberare e a valorizzare il potenziale espressivo e di competenze delle donne.
In tal senso, è per noi un indicatore l’indice FITSE MIB: monitoriamo costantemente i vertici delle 37 aziende lì rappresentate, le 37 aziende italiane a maggior capitalizzazione. Tutti gli amministratori delegati sono uomini, ormai da decenni. Quando la classifica si muoverà in modo consistente, potremo dire di aver fatto un buon lavoro”.
“L’inclusione non è un tema soft o un obiettivo che si realizza con buone intenzioni e un approccio aperto. Rendere le organizzazioni luoghi inclusivi, in cui tutti possono valorizzare il proprio potenziale e dove la diversità genera innovazione e quindi risultati economici, è un lavoro che richiede professionalità e impegno. I leader sono i responsabili e garanti della strategia e la misurazione consente di monitorare i progressi. L’Inclusion Impact Index Plus di Valore D, sviluppato in collaborazione con il Politecnico di Milano, legge parametri quantitativi e qualitativi per verificare il proprio livello di inclusione e quindi di sostenibilità sociale e di governance” ha commentato Barbara Falcomer direttrice generale Valore D.
“Oggi è fondamentale che chi fa imprenditoria consideri la cultura DE&I come parte integrante delle proprie strategie di business. La competitività è collegata all’innovazione, e sappiamo che questa ottiene una spinta eccezionale nelle aziende inclusive” le ha fatto eco Francesca Vecchioni, presidente di Fondazione Diversity. “Oggi si vince insieme al mercato, è una sostenibilità sociale ed economica generata dai valori condivisi: vince chi sa integrare nei propri processi la diversità e valorizzarla, vince chi porta al tavolo le persone, chi applica strategie di business basate sull’inclusione e sa misurarne il valore, vince chi comprende che saper parlare in maniera inclusiva è un’espressione chiara dell’identità del brand.”
Sulla necessità di valorizzare il ruolo della donna nel mercato del lavoro è intervenuta con un keynote speech l’economista Veronica De Romanis, docente di politica economica alla Stanford University e alla Luiss. “L’occupazione femminile è parte significativa della soluzione di un Paese, come l’Italia, che ha un tasso di sviluppo limitato, un debito elevato e disuguaglianze crescenti”. De Romanis ha proseguito illustrando i dati sul tasso di occupazione. “Dal 2019 al 2021 l’Italia è peggiorata, insieme a Repubblica Ceca, Bulgaria, Danimarca, Svezia, Lituania, Olanda e Lettonia.
Le donne hanno pagato il prezzo più alto della crisi e spesso rimangono intrappolate nel cosiddetto part-time involontario”. In un Paese dove il tasso di natalità resta inferiore alla media UE “aumentare l’occupazione femminile può invertire la curva demografica” ha spiegato l’economista, illustrando anche la stima del costo della mancanza di donne nel mercato del lavoro, in termini di crescita. “Nel mondo 2,4 miliardi di donne in età da lavoro non hanno gli stessi diritti degli uomini. Se si arrivasse ad uguali tutele, avremmo un aumento del 20% del Pil. In conclusione, inclusività significa più donne nel mercato del lavoro, meno diseguaglianze, più natalità e ricchezza”.
La giornata è proseguita con la presentazione di living cases. A raccontare la propria esperienza nello sviluppare la D&I nella finanza è stata Paola Angeletti, Coo di Intesa Sanpaolo. “Intesa Sanpaolo promuove a tutti i livelli aziendali l’inclusione delle specificità di ciascuno e la valorizzazione del merito di ogni persona che lavora nel Gruppo. La nostra strategia parte dall’ascolto dei bisogni e dalla misurazione dei risultati per valutare l’efficacia delle azioni messe in campo, tra cui un KPI specifico nel sistema di valutazione di oltre 3000 manager. Il lavoro svolto in questi anni ci ha permesso di essere il primo grande Gruppo bancario italiano a ottenere la certificazione per la parità di genere prevista dal PNRR
Il caso Google è stato illustrato da Marilù Capparelli, legal director EMEA. “Ritenerci responsabili nei confronti della diversità, dell’equità e dell’inclusione è una priorità fondamentale per Google. Ci poniamo l’obiettivo di essere un luogo di lavoro nel quale chiunque si senta incluso e correttamente rappresentato e vogliamo fare in modo che tutti si sentano supportati e incoraggiati a partecipare. Crediamo veramente che per adempiere bene alla nostra missione che è “organizzare le informazioni del mondo e renderle universalmente accessibili e utili”, dobbiamo essere una rappresentazione degli utenti che serviamo. Quando diciamo che vogliamo costruire per tutti, intendiamo tutti. E per questo dobbiamo creare una forza lavoro che sia più rappresentativa degli utenti che serviamo”.
Sull’importanza della propulsione intergenerazionale è intervenuta Luciana De Laurentiis, Head of Corporate Culture & Inclusion Fastweb. “La convivenza tra le differenze è motore di evoluzione anche in azienda: è dall’incontro delle nostre unicità che nasce nuovo valore. Per la prima volta nella storia convivono oggi al lavoro almeno quattro generazioni diverse: in che modo questo modifica e arricchisce la quotidianità lavorativa? Benché ciascuna generazione sia caratterizzata da alcuni diversi approcci al rapporto con il lavoro, l’ambizione, il futuro, è necessario andare oltre le classificazioni e generalizzazioni. Resta importante mantenere attivo un approccio alla unicità della persona, che tenga anche conto dell’età e delle caratteristiche tipiche dei percorsi di vita, che generano quindi necessità e risposte differenziate. E alimentare un vero dialogo intergenerazionale nei team, un mutual mentoring che sia di arricchimento reciproco” ha spiegato De Laurentiis.
Le connessioni tra inclusività e benessere sono state ben illustrate da Nilufer Demirkol, Global Head of Diversity and Inclusion di Nestlé, che nel raccontare l’esperienza della propria azienda ha evidenziato come “la creazione di un ambiente di lavoro, remoto, in loco o ibrido, che offra a tutta la nostra forza lavoro pari opportunità di migliorare il proprio benessere è il fondamento di un’organizzazione veramente inclusiva. Non solo è la cosa giusta da fare; è essenziale per il successo delle organizzazioni, a breve e lungo termine”.
Sul ruolo del digitale come facilitatore dei percorsi di diversità e di inclusione è intervenuto Pietro Iurato, HRD Head EMEA di SAP. “La forza lavoro del futuro richiede maggiori livelli di creatività e innovazione. L’unico modo per raggiungere questo obiettivo è attraverso processi e iniziative che diano priorità alla diversità e all’inclusione. In SAP siamo impegnati a creare un ambiente di lavoro diversificato che rifletta la nostra società in tutte le sue sfaccettature e ricchezze e in cui i dipendenti si sentano apprezzati e rispettati. Siamo convinti che le aziende, come le società, possano crescere e prosperare solo quando le persone possono essere se stesse e liberare così il loro potenziale”.
A conclusione dell’incontro Emanuele Acconciamessa, COO di Focus Management e Gabriella Crafa, Vice President di Fondazione Diversity hanno presentato la ricerca “Diversity Brand Index” e le relative best practice, riferite ai migliori 20 brand capaci di lavorare concretamente sull’inclusione e di comunicare questo impegno al mercato finale.
“La DE&I non ha una valenza solo interna per le aziende; impatta in maniera profonda anche sulle scelte di consumatrici e consumatori e conseguentemente sui ricavi. Il Diversity Brand Index, sviluppato da Focus Management e Fondazione Diversity, da 6 anni misura l’impatto che l’impegno dei brand sulla DE&I a livello B2C ha sulle percezioni e sulle scelte del mercato finale e sui risultati dei brand. Un brand attivo sull’inclusione e percepito inclusivo gode di una maggiore reputazione e fiducia, di una fedeltà più alta da parte della propria clientela e di un passaparola massivamente positivo. La crescita dei ricavi tra una azienda impegnata sull’inclusione e un brand percepito come non inclusivo, tra loro comparabili, supera il +21%. Un valore importante legato all’evidenza per la quale 7 persone su 10 parlano bene dei brand percepiti come inclusivi; 7 su 10 parlano male dei brand non inclusivi; 2 su 10 parlano male dei brand “neutrali” senza compensare questa componente negativa con le persone ambasciatrici della marca” ha evidenziato Acconciamessa.
“Tutti gli interventi e i living cases presentati oggi confermano quanto sia indispensabile che gli imprenditori capiscano che l’inclusività è il principale fattore competitivo nelle loro mani, oltre che un fattore critico di successo per l’internazionalizzazione dell’industria italiana” ha concluso Luigi Consiglio.