Un artista enigmatico, che ritrae angeli presi dal popolo, santi senza aureola né attributi iconografici, e che predilige soggetti presi dalla strada, come i mendicanti, dipingendo in generale gente di basso rango più che modelli storici o personaggi altolocati. E’ il ‘Caravaggio francese’ Georges de La Tour (1593-1652), cui Milano dedica una grande mostra che apre domani a Palazzo Reale. L’incontro tra Milano e Georges de La Tour, (ri)scoperto dalla critica storico-artistica del Novecento, era già avvenuto nel 2011, quando vennero esposte con grande successo a Palazzo Marino, nella ormai tradizionale mostra natalizia, due sue opere: “L’Adorazione dei pastori” e “San Giuseppe falegname”. Ora, per la prima volta in Italia, Palazzo Reale ospita una retrospettiva dedicata al più celebre pittore francese del Seicento e ai suoi rapporti con i grandi maestri del tempo. “Georges de La Tour. L’Europa della luce” nasce dalla rete di collaborazioni tra Palazzo Reale e 28 istituzioni internazionali, come la National Gallery of Art di Washington D.C., il J. Paul Getty Museum di Los Angeles e la Galleria degli Uffizi. Un’esposizione unica – viene sottolineato – considerato che in Italia non è conservata nessuna opera di La Tour e sono circa 40 le opere certamente attribuite all’artista, di cui in mostra ne sono esposte 15 (più una attribuita). I pochi quadri riconosciuti come autografi sono perlopiù di piccolo o medio formato, intimi, privi di sfondo paesaggistico, notturni. Nonostante l’alone di mistero che avvolge l’artista lorenese e la sua opera, da decenni ormai Georges de La Tour è uno dei pittori prediletti dai francesi e non solo. Inevitabile il paragone con un altro grande pittore del primo Seicento, Caravaggio, con il quale il francese condivide il senso drammatico, teatrale, della composizione e lo studio accurato della luce, anche se non si sa se La Tour abbia mai avuto modo di ammirare le opere del Merisi. “Oltre a essere l’artista delle notti, o l’artista della realtà, una realtà che se osservata da vicino mostra tutta la sua ambiguità – afferma la curatrice Francesca Cappelletti – La Tour è l’artista delle variazioni minime, della sfumatura, dell’inafferrabile differenza fra una composizione e l’altra, a volte diverse solo per i toni cromatici, a volte per sottili slittamenti di significato”. Le sue tracce, e quelle della sua opera, si persero durante tutto il XVIII e XIX secolo, ma i suoi lavori vennero riscoperti e catalogati dalla critica del Novecento