Poeta, scrittore e autore di testi per il cinema e il teatro, Bulat Šalvovič Okudžava (1924-1997) con la sua vita e la sua opera riflette appieno la storia complessa dell’Unione Sovietica post-staliniana, di cui è stato limpido testimone ed osservatore acuto. Con il padre fucilato come traditore e la madre deportata per diciannove anni in un lager, ancora giovanissimo parte volontario in guerra per combattere il nazismo ma anche per riscattare se stesso e la propria famiglia dall’onta vergognosa di traditori della patria. Rientra dalla guerra ferito e disilluso ma nel 1955 si iscrive al Partito Comunista dal quale sarà sempre guardato con diffidenza per i suoi rapporti con gli ambienti della cultura clandestina. Osteggiato da critici e corporazioni, il suo primo disco ufficiale esce solo a metà degli anni Settanta ma nel frattempo aveva raggiunto in Russia una popolarità enorme, grazie alla diffusione di casa in casa delle registrazioni delle sue canzoni, e anche una notorietà internazionale con il suo secondo romanzo, Il povero Avrosimov.
Nella sua terra Okudžava è conosciuto – e amato – soprattutto come il padre della canzone d’autore russa, colui che per primo, in quella sterminata nazione di poeti, ha riportato la poesia alla sua originaria forma musicale, con esiti straordinariamente felici. Le sue liriche si snodano lungo trame sottili che, alla semplicità di temi universali come l’amore e la guerra, annodano una fitta rete di rimandi e allusioni, stemperando in una dolente e malinconica ironia una materia biografica altrimenti incandescente perché lacerata da ferite patite innanzi tutto sulla propria pelle. Storie minime, a volte persino banali, affidate a melodie irresistibili, conferiscono alle sue canzoni un’eccezionale forza espressiva, elevandole al rango di capolavori da collocare nel pantheon mondiale della canzone d’autore, accanto a quelle di artisti come Brassens, Ferré o Atahualpa Yupanqui.
A sottrarre da un immeritato oblio una figura così importante della cultura del Novecento provvede ora una duplice operazione editoriale promossa da Squilibri. Esce in questi giorni la monografia di Giulia De Florio, Bulat Okudžava. Vita e destino di un poeta con la chitarra, la prima in italiano sul bardo russo, con scritti di Sergio Secondiano Sacchi, Alessio Lega, fotografie di Alberto Coggiola e, in allegato, un CD con il concerto dal vivo che Okudžava tenne al teatro Ariston nel 1985 quando, per la caparbietà e lungimiranza di Amilcare Rambaldi, gli venne assegnato il Premio Tenco: e non è dunque casuale che il volume esca nella collana “I libri del Tenco” dell’editore romano.
In contemporanea, Squilibri pubblica anche il cd-book Nella corte dell’Arbat. Le canzoni di Bulat Okudžava in cui Alessio Lega riesce nel miracolo di far rivivere anche nella nostra lingua la magia e l’incanto di questi piccoli gioielli espressivi che, affidati a melodie semplici ma irresistibili ed annodati attorno a storie minime, riflettono le tensioni e le speranze di un intero popolo come accade solo nei capolavori della letteratura mondiale e della grande canzone d’autore. Con introduzione di Marco Raffaini, il cd-book e la monografia saranno presentati dai due autori, con la partecipazione di Rocco Rosignoli, Venerdì 24 maggio, alle 18.30, presso l’Associazione Italia-Russia in via Natta n. 11, Milano.
Giulia De Florio Docente di Lingua e Letteratura russa, traduttrice. Si occupa di letteratura russa per l’infanzia, di canzone d’autore e di teoria e pratica della traduzione.
Cantautore e scrittore, già Targa Tenco con il disco d’esordio, Alessio Lega scrive libri e incide dischi mescolando impegno politico e passione artistica e ha intrecciato attorno alla sua militanza anarchica una non comune capacità di proposta e intervento.