«La grazia di Pasqua è l’incontro che chiama alla gioia della risurrezione, è la rivelazione che, nell’intimità profonda dove facciamo fatica a sostare per timore dell’abisso angosciante e dei mostri invincibili, c’è invece la presenza amica di Gesù». In una bella giornata di sole, in un Duomo magnifico in cui si celebra «il vero giorno di Dio, radioso di santa luce», come recita l’Inno del patrono Ambrogio, è questo che l’Arcivescovo dice ai moltissimi fedeli presenti per il Pontificale da lui presieduto e concelebrato dai membri del Capitolo metropolitano. Giornata di festa e di ringraziamento che l’Arcivescovo aveva iniziato presso il carcere di Opera, con la Messa celebrata per i detenuti e il personale della Casa di reclusione.
Tra le navate della Cattedrale, i dodici Kyrie della Liturgia ambrosiana, i gesti liturgici, i canti, le tre letture tratte dal Nuovo Testamento – attraverso pagine degli Atti degli Apostoli, della I Epistola ai Corinzi e del Vangelo di Giovanni – definiscono il senso della gioia di partecipare a un nuovo inizio. Di «essere Chiesa che canta, per tutta l’umanità, la speranza», nonostante i tanti drammi che segnano il mondo e le sofferenze personali come quella, narrata da Giovanni, di Maria di Màgdala, in pianto davanti al sepolcro di Cristo.
La presenza amica del Signore
È lei che, non riconoscendo il Maestro, è immersa «nella sua stanza segreta» fatta di «desolazione, vuoto, oscuro abisso». Di un’intimità così insopportabile – dice nell’omelia l’Arcivescovo parlando di Maria, ma alludendo anche a tutti noi – per cui «molti distolgono lo sguardo ed è meglio vivere di esteriorità, di apparenze piuttosto che sostare sull’orlo dell’abisso spaventoso; meglio recitare una parte, investire su un ruolo, adeguarsi alle aspettative altrui, piuttosto che fare i conti con la propria verità nell’intimità angosciante dove forse abitano incubi insostenibili; meglio vivere nella frenesia, nel rumore, nelle chiacchiere, piuttosto che restare nel silenzio opprimente di una buia solitudine. Meglio vivere fuori di sé, piuttosto che dover fare in conti con sé stessi».
Eppure – perché questo significa la Pasqua – c’è una voce, magari all’inizio non riconosciuta, che chiama ognuno per nome e fa percepire «in modo confuso che la verità profonda non è una solitudine: c’è infatti, proprio là, nella stanza segreta, una presenza indecifrabile». È la voce inattesa del Signore che sa parlare nell’intimità: «La parola dello Sconosciuto raggiunge quella che sembrava una solitudine angosciante e si rivela un invito alla comunione, capace di accendere nelle tenebre la luce lieta che le tenebre non possono spegnere».
È la verità che si manifesta a Maria, la prima a vedere il Signore risorto, e a noi 2000 anni dopo, non con «l’esteriorità di una euforia, ma con la rivelazione che, nella camera più segreta, dove nessuno può entrare, abita la presenza amica del risorto». Per questo, sottolinea ancora l’Arcivescovo, «la nostra verità profonda non è la solitudine, l’abisso del nulla che insidia la vita, ma la comunione amorosa che rende vivi della via del Figlio di Dio. Anche se percepiamo di essere troppo piccoli e soli di fronte allo splendore e all’orrore, alle domande inquietanti e alle minacce insostenibili, la verità di Pasqua ci dice che Gesù è morto per i nostri peccati e che non è estraneo a quell’abisso di male, a quella minaccia di morte che ci spaventa, ma in quell’abisso ha vinto il male, la morte e lo spavento».
A conclusione del Pontificale, prima della benedizione papale con l’indulgenza plenaria impartita dall’Arcivescovo per facoltà ottenuta da papa Francesco, c’è ancora tempo per un augurio perché «a tutti giunga la benedizione del Signore rendendoci capaci di cantare l’alleluia» e per ascoltare, appunto l’Hallelujah del Messia di Häendel, eseguito dalla Cappella musicale del Duomo e da un ensemble di ottoni, mentre i concelebranti percorrono, in processione, la navata centrale della Cattedrale.
Successivamente, come ormai tradizione, monsignor Delpini si è recato presso l’Opera Cardinal Ferrari dove ha partecipato al pranzo di Pasqua con ospiti e volontari. I giovani Marco, Chiara e Rebecca; Nancy e Rosa, madre e figlia; Stefano e Daniela, marito e moglie, e tantissimi altri volontari che hanno deciso di trascorrere il loro giorno di festa per donarsi al prossimo. Sono stati loro i grandi protagonisti del pranzo di Pasqua, che ha regalato anche quest’anno una preziosa occasione per 150 persone di non rinunciare a festeggiare la Pasqua.