di Maurizio Podico, Presidente APPSA
Le larve di camola della farina e la farina di grilli fanno indubbiamente parte dei cosiddetti “novelfood”, sostanze alimentari inquadrate dal Regolamento (CE) 258/1997, per i quali non è dimostrabile un consumo “significativo” al momento di entrata in vigore del regolamento medesimo.
Su questi alimenti si stanno scatenando le opinioni più disparate e, spesso, sostenute da indicazioni non propriamente veritiere.
Tra le principali troneggia l’indicazione che possano essere una soluzione valida per poter fornire “proteine nobili” a basso costo e a minor impatto ambientale rispetto alla carne bianca o rossa tradizionale.
Sono definite proteine nobili o alimenti completi quelli in grado di fornire anche i nove aminoacidi essenziali, quelli che non sono sintetizzati autonomamente dal nostro organismo e che, per tale motivo, debbono essere assunti con l’alimentazione pena l’insorgere di possibili stati di malattia.
Orbene la nostra dieta mediterranea, che prevede piatti composti da legumi e cereali (riso e lenticchie, pasta e fagioli, ecc.), ha, da sempre, risolto brillantemente tale problema come ben sanno i cultori della filosofia vegana.
I veri problemi sono altri, invece, a partire dal fatto che si alimenta l’illusione che si possano fare degli allevamenti poco più che di dimensioni domestiche, ma che, in realtà, specialmente dal punti di vista igienico e della sicurezza dei prodotti non rappresenta una soluzione valida, per giungere a quella relativa ai rischi allergenici.
Su tale tema è possibile leggere tutto e il suo contrario.
Dal punto di vista scientifico se la chitina (la proteina costituente principalmente l’esoscheletro) è sotto valutazione quella che è indubbiamente in grado di suscitare delle risposte allergiche è la tropomiosina, una dei componenti della muscolatura che gli insetti, pur con alcune varianti, hanno in comune con i crostacei di cui rappresenta il principale allergene.
In pratica chi presenta dei fenomeni allergici ai crostacei o potrebbe presentare lo stesso problema con gli insetti e la tropomiosina stessa potrebbe, come nel caso dei crostacei, sensibilizzare nuovi individui per effetto dell’aumentato numero di contatti.
Un altro aspetto da indagare è la resa che da molte parti viene indicato in un chilogrammo di insetti ogni due chilogrammi di soia.
Il valore sembra eccessivamente ottimistico e, probabilmente, riferito al peso degli insetti vivi, non del prodotto finale essiccato (come la soia stessa).
Inoltre, ci si domanda perché dovremmo utilizzare della soia per produrre grilli quando possiamo nutrirci direttamente con essa, con una resa almeno doppia.
Tra le curiosità che l’ultimo decreto avrebbe dovuto suscitare è : perché la farina di grilli è parzialmente sgrassata?
La risposta è semplice, per poter produrre l’olio di grillo, un altro novelfood che prevediamo possa comparire a breve nel “panorama gastronomico”.
La considerazione finale è perché dovremmo affannarci a proporre di condire con olio di grillo (che oggi costa 5 dollari per 100 ml !) le nostre pietanze quando abbiamo dell’olio EVO (Extra Vergine di Oliva) ad un costo molto più contenuto ? Forse per provare che si “Aggiunge un tocco di “cricketness” (sapore digrillo!) a qualsiasi piatto in cui lo si utilizza” ???
Cortesemente ridateci il grande Alberto Sordi e il suo piatto di maccheroni del film “Un americano a Roma”, GRAZIE!