Si rafforza l’export agroalimentare tricolore. Nel 2017 sono ammontate a oltre 40 miliardi di euro, in valore, le esportazioni del ‘Made in Italy’ del cibo con un incremento del 7% sul 2016 trainato dai formaggi (+11%), dal vino (+6%), dalla cioccolata (+20%) e dai prodotti da forno (+12%). È quanto emerge da uno studio di Nomisma – presentato in occasione del convegno ‘L’agroalimentare italiano alla prova dell’internazionalizzazione’ – secondo cui, in termini di valore, l’Italia resta ancora distante da concorrenti come Germania e Francia, ai vertici nelle esportazioni agroalimentari con 76 e 60 miliardi di euro.
In dettaglio, negli ultimi dieci anni – tra il 2007 e il 2017 – il valore dell’export in questo settore è passato da 22 ad oltre 40 miliardi di euro facendo segnare un record storico che ha spinto l’Italia in quinta posizione in Europa alle spalle di Olanda, Germania, Francia e Spagna. Guardando ai mercati di riferimento, viene evidenziato nello studio, “due terzi dell’export agroalimentare italiano sono destinati a mercati ‘di prossimità’, cioè Paesi dell’Unione Europea, mentre la restante quota si distribuisce tra America (13,5%), Asia (9%), altri Paesi Europei (7,6%), Africa (2,4%), sebbene, e da qui si comprendono le ulteriori potenzialità inespresse del food&beverage italiano, nell’ultimo decennio il nostro export agroalimentare sia cresciuto del 229% verso il Medio Oriente, del 197% in Asia centrale, del 163% in Asia Orientale e del 123% nei paesi del centro-sud America”.
Perché “l’export dei prodotti agroalimentari italiani aumenti – dichiara Denis Pantini, responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma – è indispensabile che si allarghi la base delle imprese esportatrici, in larga parte riconducibili ad aziende medio-grandi e rappresentanti una quota ancora ridotta del totale, meno del 20% del settore”. Tra le criticità che rendono la vita difficile alle Pmi, viene sottolineato nello studio, italiane in questa corsa all’export, figurano dazi e barriere non tariffarie che rappresentano spesso ostacoli insormontabili.
Volgendo lo sguardo al futuro, puntualizza l’analisi di Nomisma, “le opportunità non mancano; nei prossimi 5 anni ci si attende infatti una ulteriore crescita dei consumi alimentari in molti dei principali mercati mondiali: Stati Uniti (+24%), Cina (+44%), India (+85%), Russia (+45%), Corea del Sud (+22%), Canada (+35%)”. In questa ottica, viene argomentato ancora, “le imprese alimentari italiane si trovano oggi ad affrontare una duplice sfida: sul mercato domestico, dove, in un contesto di graduale ripresa dei consumi, il consumatore modifica continuamente il suo approccio alla spesa e pone sempre più attenzione nei confronti di valori come la salute, la sostenibilità ambientale e la semplicità con conseguenti effetti sulla composizione del paniere di spesa. E sul mercato internazionale, dove si configurano grandi opportunità di crescita ma, allo stesso tempo, le imprese si devono confrontare con una concorrenza agguerrita e organizzata e – conclude Nomisma – con mercati che richiedono competenze e conoscenze specializzate soprattutto alla luce dei repentini mutamenti nello scenario economico e geopolitico globale, in primis la Brexit e la politica protezionistica di Trump”.(ANSA).