Stamattina airDNA, portale di statistiche e misurazioni degli alloggi promossi digitalmente da Airbnb, registra circa 12.664mila case online su Milano Città metropolitana.
Il portale Immobiliare .it parla di 97mila alloggi sfitti a Milano e di 785mila alloggi totali presenti in Città.
Su questo totale il 23% è utilizzato per affitti di lungo periodo (media superiore a quella nazionale grazie al fatto che Milano attira 200mila studenti universitari e giovani lavoratori) ovvero 4 +4 mentre 27mila sono le case di proprietà del Comune di Milano (di cui 6mila non disponibili per essere affittati perché necessitano di investimenti pubblici).
Se ne ricava facilmente un dato fondamentale che nessuno però, in questa crociata contro gli affitti brevi che improvvisamente si è scatenata, ha messo finora in evidenza: gli alloggi promossi on line a Milano con finalità di affitti brevi sono soltanto l’1,6% delle case esistenti in Città. Possibile che quell’1,6% di case online, per il 95% di proprietà di singoli proprietari che li gestiscono in modo diretto o li affidano a gestori professionali, siano il problema?
Possibile che improvvisamente Milano possa essere paragonata a Venezia che ha tutt’altre problematiche ed emergenze?
Sappiamo che ci sono molti progetti immobiliari in sviluppo che prevedono importanti quote di edilizia convenzionata. Sappiamo che ci sono molti progetti di costruzione di studentati e progetti di coliving e senior housing. Dal nostro osservatorio Milano è una città viva, che attira investimenti che cercano, con regole di mercato e soldi di privati, di colmare vuoti e rispondere ai bisogni di cittadini, viaggiatori, studenti, turisti.
Il mondo degli affitti brevi a Milano ha investito molto, e da Milano è partito per gestire in modo efficiente case in tutta Italia. Le più grandi società del settore hanno sede qui, assumono dipendenti da tutta Italia, spesso giovani tornati dall’estero, investono in software e tecnologia e sono protagoniste ad eventi di settore in tutta Europa.
La prima conferenza italiana del vacation rental si è tenuta a Milano a novembre: circa 300 imprenditori del Paese si sono riuniti per 3 giorni e decine di società di software sono arrivate da tutto il mondo per offrire i loro servizi (alcune italiane che crescono anche all’estero).
Come AIGAB su Milano stimiamo prenotazioni per il 2023 pari a 350milioni di euro, di cui 171milioni (52%) vanno ai singoli proprietari degli immobili (per lo più proprietari di una singola casa, nella maggior parte dei casi abitata fino a poco tempo prima dai proprietari stessi, spesso ereditata, sempre più frequentemente comprata come investimento) mentre il 19,5%, grazie anche al lavoro dei property manager professionali, va direttamente nelle casse dello Stato (17milioni al Comune come imposta di soggiorno, 36milioni in cedolare secca, 14,6 milioni in IVA su commissioni alle OTA).
Ci aspettiamo che il settore dia alloggio a circa 2milioni di visitatori, per 6milioni di presenze, pari a circa 990mila prenotazioni. Per ognuna di queste prenotazioni, i gestori professionali si avvalgono di società specializzate per le pulizie che impiegano personale, ci sono corse in taxi, colazioni nei bar, ristoranti, musei, concerti, shopping.
Se è vero il dato ISTAT che ogni turista spende 4 euro per ogni euro speso nel soggiorno l’indotto complessivo degli affitti brevi su Milano è di circa 1,7miliardi, il 17% dell’incidenza totale degli affitti brevi in Italia.
La convivenza di un fenomeno nuovo, che esprime la liquidità della società moderna verso la staticità dei modelli passati, ancora non ha trovato un equilibrio. È vero che molte città europee hanno introdotto restrizioni, ma è anche vero che nessuna, per ammissione dell’Unione Europea nell’introduzione al nuovo Regolamento (che riconosce i benefici del settore), è stata efficace, molte sono state dichiarate illegittime o incostituzionali, la maggior parte sono inapplicate. Basti pensare ad Amsterdam, che ha bandito gli affitti brevi e ha oggi gli affitti a lungo termine più alti d’Europa.
La domanda che dovrebbe farsi il Comune è: perché ci sono quasi centomila case sfitte a Milano? Perché i milanesi non si fidano ad affittare a lungo termine? Perché il pubblico non ha il denaro e non è in grado di gestire in modo efficiente il proprio patrimonio immobiliare? Siamo sicuri che la risposta a queste domande sia la restrizione del diritto di proprietà di migliaia di cittadini, affrontare questa esigenza con limitazioni alla libertà d’impresa e al mercato e la gestione pubblica del mercato degli affitti? Noi non ne siamo convinti e crediamo che migliaia di cittadini italiani siano dello stesso avviso.