Il rilevamento di radioattività in otto container di ceneri d’acciaieria, provenienti dalla Arvedi di Cremona e avviate al trattamento presso lo stabilimento sardo di Porto Vesme, da dove sono state respinte per radioattività, pone seri interrogativi sull’attività di riutilizzo industriale del rottame metallico svolta dalle acciaierie lombarde.
Stando alle dichiarazioni ufficiali, il portale radiometrico per i materiali in ingresso all’acciaieria ha sempre funzionato regolarmente e non ha mai rilevato radioattività. Non ne dubitiamo. Ma è ben noto che l’assenza di radioattività in ingresso può semplicemente voler dire che i materiali radioattivi siano schermati in contenitori a parete di piombo, come avviene normalmente per le apparecchiature che utilizzano radioisotopi. Una schermatura efficace, ma solo fino al momento in cui, nei forni, il piombo fonde.
Per questo, fin dal 1997 in regione Lombardia vige un’ordinanza che impone che i controlli radiometrici vengano effettuati anche in uscita dallo stabilimento. Come è possibile che una acciaieria di primaria importanza come Arvedi non fosse attrezzata per misurare la radioattività sia in ingresso sia in uscita dai suoi impianti? Qual è la situazione in tutte le altre acciaierie lombarde?
“Siamo fortemente perplessi per l’accaduto, che getta un’ombra sull’efficacia dei controlli interni che dovrebbero essere obbligatori per tutte le aziende che operano in regime di Autorizzazione Integrata Ambientale,” dichiarano congiuntamente Barbara Meggetto, presidente regionali di Legambiente e Edoardo Bai, portavoce di ISDE – Medici per l’Ambiente. “Chiediamo che Regione Lombardia, tramite la sua agenzia ambientale, effettui verifiche sistematiche sull’aderenza di tutti gli impianti metallurgici alle prescrizioni sul buon funzionamento dei presidi obbligatori di sicurezza ambientale, per evitare la dispersione di sostanze radioattive negli ambienti di lavoro e all’esterno degli stabilimenti. Vogliamo capire se si tratti di un caso legato a un singolo impianto produttivo, o se ci sia un problema più generalizzato e suscettibile di causare aumenti della radioattività di fondo nel territorio lombardo e rischio sanitario per i lavoratori”
Con riferimento alla situazione rilevata nello stabilimento, i rappresentanti delle associazioni chiedono inoltre che si risolvano le criticità da tempo denunciate, a partire dall’aia di deposito di rottami, con la sua continua emissione di polveri e rumori.
Da anni chiediamo che lo stoccaggio del rottame metallico avvenga in edificio chiuso e dotato di dispositivi di abbattimento delle polveri, quanto accaduto genera ulteriori apprensioni per chi quotidianamente convive con la prossimità dello stabilimento, motivo in più per sanare una situazione che da troppo tempo risulta inaccettabile, come congiuntamente richiesto anche da associazioni e comitati del territorio
“Come mai l’obbligo dei controlli radiologici in uscita non compare fra le prescrizioni dell’AIA?” sottoscrivono Gigi Rizzi, presidente del Circolo Vedoverde di Legambiente, Michele Arisi per CreaFuturo per le energie rinnovabili, Cesare Vacchelli per il Comitato NoAutostrade Cr-Mn e Ti-Bre, Ezio Corradi per il comitato No Triv, Carla Bellani per Comunità Laudato Sì, Marco Pezzoni del coordinamento Stati generali Clima Ambiente Salute di Cremona e del territorio. “Chiediamo di avere riscontro circa l’entità della contaminazione nello stabilimento e nei terreni circostanti, ed inoltre che sia verificata la sicurezza radiologica nel parco rottami e della discarica in cui sono raccolte decine di migliaia di tonnellate di scorie prodotte in anni di attività dell’acciaieria. Chiediamo che si proceda ad una campagna di caratterizzazione radioattiva della discarica di Crotta d’Adda, anche tenendo conto del rischio che eventi alluvionali possano causare la dispersione di inquinanti. Ed infine vogliamo conoscere il destino dei container di scorie radioattive respinte dall’impianto di Porto Vesme”.