di Viviana Bazzani
… E poi, ci sono loro i maestri delle classi primarie, che con vocazione e sacrificio non hanno mai trascurato i loro allievi. Anzi, con questa Pandemia, sono riusciti a far comprendere come le difficoltà della vita possono stordire per qualche istante ma non sconfiggere.
Ho ritenuto doveroso ascoltare, questa settimana, la voce di una giovane insegnante con tanta esperienza sul campo.
Giovanna Monetti un amore per l’insegnamento e, nel tempo libero, per il teatro.
D- Quali sono state le sue difficoltà nella prima fase di chiusura delle scuole e in quest’ultima?
R- Le difficoltà non sono state poche ma, con la caparbietà che mi contraddistingue, non mi sono persa d’animo. Immediatamente, utilizzando una piattaforma di messaggistica istantanea, ho cercato di ristabilire un contatto con i miei alunni, in modo da preservare almeno un minimo di continuità relazionale e affettiva con il mondo della scuola. Successivamente si è palesata la necessità di continuare la formazione, portare avanti il programma, far sì che la scuola non si fermasse e con essa la sua “mission”. Non è stato facile accettare un diverso approccio all’insegnamento- apprendimento. Dovevamo abituarci a fare a meno del contatto reale, del microcosmo che si crea all’interno di un’aula e adattarci ad interagire attraverso lo schermo freddo di un pc. Purtroppo questa non è stata l’unica problematica. Sin da subito sono apparse molteplici criticità. In primis la difficoltà di raggiungere tutti quei bambini che, per svariate difficoltà, sociali, culturali, ambientali, non avevano la possibilità di accedere alla rete internet e che, di fatto, rischiavano di restare “fuori” da questa nuova realtà. La mia scuola si è attivata immediatamente, fornendo mezzi e sussidi, in modo da garantire il diritto all’istruzione anche agli alunni di famiglie meno abbienti. Risolti i problemi logistici, restava e non per ordine di importanza, la necessità di ridisegnare nuove strategie metodologiche e didattiche che rendessero fruibili, accattivanti e motivanti le lezioni in DAD. Determinanti in tal senso sono stati i corsi di formazione, l’approfondimento individuale, la ricerca e la sperimentazione continua di nuovi “orizzonti di senso”. Fondamentale è stata anche la collaborazione fattiva delle famiglie che, specie per i bimbi più piccoli, seguendo la “mente” del docente ne sono diventate il “braccio”, il continuum domestico dell’azione educativa. Oggi, a distanza di nove mesi dall’evento pandemico, permangono ancora alcune difficoltà, ma i bambini hanno dimostrato di essere capaci, come e più di noi adulti, di adattarsi al cambiamento e di gestire, al meglio delle loro possibilità, la sfida contro questo “nemico invisibile”.
D- Come ha spiegato agli alunni perché bisognava stare a casa? Quali le loro paure?
R- Il bambino è una “mente assorbente”, percepisce ed immagazzina immediatamente i dati e gli stimoli dell’ambiente circostante. Per questo motivo, la discussione relativa a quanto stava accadendo nel mondo e nella nostra realtà più prossima, è stata pressoché immediata e spontanea. I bambini, attraverso i media, erano già a conoscenza di quanto stava accadendo e senza timore, hanno esternato le loro ansie, le loro paure, le loro preoccupazioni. Dalla discussione e dal confronto sono emerse molteplici considerazioni. Prime fra tutte la paura che questo male oscuro potesse insinuarsi nelle loro case e colpire i loro famigliari. Forte anche il desiderio di poter nuovamente ritornare a scuola, riabbracciare i compagni e le maestre, riappropriarsi del loro spazio nel mondo senza la preoccupazione di dover continuamente indossare la mascherina, sanificare le manine e mantenere il distanziamento fisico e “sociale” con i loro affetti.
D- Ci sono state difficoltà da parte di alcune famiglie nell’organizzare una sorta di “succursale” casalinga?
R- Come ho già detto in precedenza, le difficoltà sono state molteplici e gestirle non è stato facile. Le famiglie si sono attivate sin da subito; hanno “recuperato” pc, tablet, cellulari e quant’altro per permettere ai loro figli di seguire agevolmente le lezioni e fruire di tutto il materiale didattico necessario. Un ulteriore problema è stato, ed è ancora vissuto, da tutti quei bambini che hanno entrambi i genitori impegnati per motivi di lavoro. I bimbi più grandi hanno presto imparato a rendersi autonomi. Per i più piccoli invece, si è reso necessario fare ricorso ad altre figure adulte (parenti, nonni, amici, baby-sitter) che permettessero loro di partecipare alle lezioni quotidiane in DAD.
D- Per lei, questo anno scolastico complicato, inciderà sulle basi future nello studio degli studenti?
R- Certamente la rimodulazione della programmazione didattica ha “spogliato” gli apprendimenti da tante possibilità di recupero e approfondimento. Io però sono fiduciosa. I nostri studenti avranno il tempo di recuperare lacune e gap durante tutto il percorso della loro formazione. Del resto, siamo in una società iper-complessa; il Sapere non viene fornito già preconfezionato e precostituito ma è frutto di una continua interazione tra l’individuo e l’ambiente circostante. Gli studenti di oggi sono continuamente iper- stimolati e presto, questa brutta vicenda sarà solo un ricordo raccontato ai posteri sui libri di storia.
D – Al termine di questa pandemia come la scuola dovrà cambiare?
R- Sarà necessaria una profonda riforma. Di certo dovrà essere una scuola in grado di ridurre al minimo le condizioni di rischio per 8 milioni e mezzo tra insegnanti e studenti. Per soddisfare questa esigenza sarà necessaria una diversa organizzazione degli spazi e dei tempi scolastici, assicurando pure una non ridotta efficienza. Occorrerebbe ridurre il numero degli alunni per classe allo scopo di contenere la trasmissione di infezioni virali col contatto fisico e la vicinanza. La necessità di rivedere l’attuale organizzazione scolastica deve trasformarsi in opportunità per rendere l’istruzione pubblica più efficace ed efficiente nonostante i limiti strutturali.
D- Ci sono stati momenti di sconforto? Quando è perché?
R- Chi come me, abituato a “vivere” il proprio lavoro con dedizione ed abnegazione, ha vissuto sicuramente attimi di scoramento, di sconforto. Mi mancavano i miei alunni, le loro voci, il suono delle loro risate. Mi mancava la quotidianità della vita scolastica e, contemporaneamente, prendeva corpo un forte sentimento di preoccupazione derivato non solo dall’incertezza del futuro, dalla consapevolezza di dover affrontare un nemico sconosciuto che stava mietendo vittime in tutto il mondo, ma anche, e soprattutto, l’ansia per aver dovuto forzatamente “abbandonare” i miei bimbi nella fase più delicata della loro crescita e della loro formazione culturale e umana.
D- Al Ministro Azzolina che suggerimenti darebbe dopo questa esperienza in “prima linea”? Quali gli errori, a suo parere, sono stati fatti e di cosa ha bisogno la scuola italiana.?
R -Subire l’emergenza non si addice ad una società evoluta. Pertanto sarà necessario prendere atto delle attuali difficoltà del sistema educativo e partire da esse per realizzare e sperimentare un nuovo modo di fare scuola. E’ necessario un profondo intervento che cambi il ruolo dei docenti, ne arricchisca la funzione e favorisca un radicale cambiamento nel modo di svolgere questo delicato lavoro. Ovviamente, inutile ribadire, occorrerebbe un adeguamento della retribuzione professionale dei docenti in modo da equipararla a quella dei colleghi del resto d’Europa. La scuola è importante! Assieme alla famiglia, è la cellula fondamentale della società. Investire sulla scuola, sulla formazione delle future classi dirigenti, dovrà essere un obiettivo prioritario. L’Italia, culla di cultura e civiltà, non può permettersi di essere, così come cita l’ultimo rapporto ISTAT sui livelli di istruzione, il fanalino di coda in Europa.
D- Tra molti anni come spiegherebbe, agli alunni futuri, il 2020?
R- Sicuramente tra molti anni, gli avvenimenti recenti saranno annoverati nei libri di storia assieme alle altre epidemie che hanno caratterizzato il ventesimo secolo. Nel mio piccolo cercherò di farglielo rivivere attraverso i racconti di chi, come me, l’ha vissuto in prima persona. Non mi limiterò solamente a riportare il dato storico ma sicuramente cercherò di trasferire le emozioni, le sensazioni, i sentimenti in modo da attuare un transfert cognitivo ed emozionale che renda l’apprendimento più significativo e pregnante.
D- Come insegnanti vi siete sentiti, in alcuni momenti, dimenticati e trascurati dalle istituzioni?
R- La scuola, e quindi tutto il sistema educativo, è stata da sempre trascurata dai vari governi che si sono succeduti nell’ultimo trentennio. Fatta eccezione per alcune riforme che hanno prettamente interessato i curricula, non ci sono mai stati investimenti significativi che abbiano coinvolto il sistema scolastico nella sua interezza. L’evento pandemico del COVID19 ha semplicemente portato alla ribalta le problematiche ataviche che gli addetti ai lavori da decenni lamentano. In modo particolare la DAD, la DDI, l’utilizzo delle tecnologie multimediali hanno evidenziato la inadeguatezza delle strutture fisiche e informatiche della scuola italiana. Non solo. I docenti, spesso precari, sostanzialmente sottopagati, hanno dovuto (e stanno tuttora gestendo questa crisi) fare ricorso, come sempre, alla buona volontà, a quella vocazione all’insegnamento che ogni buon educatore dovrebbe avere. Quella vocazione che fa percepire l’arte dell’insegnare non come mero lavoro ma come missione! Sono loro, siamo noi insegnanti (lasciatemelo dire), con le nostre capacità ma anche con i nostri limiti, che stiamo facendo la differenza. Le istituzioni dovrebbero essere maggiormente presenti, non solo a livello locale ma anche e soprattutto a livello nazionale normando e regolamentando diritti e doveri della classe docente e dirigente. Occorre rinnovare il C.C.N.I ed adattarlo ai tempi. Non si può semplicemente fare ricorso alle FAQ. Si lavora con i minori: Diritti, Doveri e Responsabilità devono essere chiari e condivisi!