Covid, in un gene dell’uomo di Neanderthal la spiegazione sulla malattia grave

Sono stati presentati dall’Istituto Mario Negri, nel corso di un convegno ospitato in Regione, i risultati di ‘Origin’, un articolato studio di popolazione che negli ultimi due anni ha visto i ricercatori del Mario Negri impegnati nell’analisi della relazione tra i fattori genetici e la gravità della malattia Covid-19 nella provincia di Bergamo, epicentro della pandemia. Presenti al convegno, oltre al presidente della Regione Attilio Fontana, anche il direttore dell’Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi e l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso. Lo studio, pubblicato sulla rivista “iScience”, dimostra che una certa regione del genoma umano si associava in modo significativo con il rischio di ammalarsi di Covid-19 e di ammalarsi in forma grave nei residenti in quelle aree più colpite dalla pandemia. La questione alla base dello studio è il perché alcune persone abbiano contratto la malattia in modo severo e perché altre invece abbiano riportato sintomi lievi o non si siano ammalati affatto. Per rispondere a questa domanda lo studio si è rivolto all’intera comunità e hanno aderito 9.733 persone di Bergamo e provincia che hanno compilato un questionario sulla loro storia clinica e familiare riferita al Covid-19. Il 92% dei partecipanti che avevano avuto il Covid si era infettato prima di maggio 2020. Tra questi, 12 persone avevano avuto sintomi già a novembre-dicembre 2019. All’interno di questo campione sono state selezionate 1.200 persone, tutte nate a Bergamo e provincia, divise in tre gruppi omogenei per caratteristiche e fattori di rischio: 400 che hanno avuto una forma grave della malattia, 400 che hanno contratto il virus in forma lieve e 400 che non l’hanno contratto. Le persone che avevano avuto forme più severe di Covid avevano più frequentemente parenti di primo grado morti a causa del virus rispetto ai partecipanti che avevano contratto il Covid in forma lieve o che non si erano infettati. Questo dato evidenzia un contributo della genetica alla gravità della malattia.

“La cosa sensazionale – ha commentato Remuzzi – è che 3 dei 6 geni che si associano al rischio di ammalarsi di Covid in forma grave sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal, in particolare dal genoma di Vindija che risale a 50 mila anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa. Le vittime del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono forse un milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”.

I campioni di dna dei soggetti coinvolti nella ricerca sono stati analizzati mediante un dna microarray, una tecnologia in grado di leggere centinaia di migliaia di variazioni (polimorfismi) su tutto il genoma, che ha permesso di analizzare per ogni partecipante circa 9 milioni di varianti genetiche e di rilevare la regione del dna responsabile delle diverse manifestazioni della malattia. In questa regione, alcune persone (circa il 7% della popolazione italiana) hanno una serie di variazioni dei nucleotidi (le singole componenti che costituiscono la catena del DNA) che vengono ereditati insieme e formano un aplotipo, ovvero l’insieme di queste variazioni. “I risultati dello studio Origin – ha spiegato Marina Noris, Responsabile del Centro di genetica umana dell’istituto Mario Negri – dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo”. Questa suscettibilità è collegata in particolare alla presenza di tre dei sei geni di questa regione che si trovano sul cromosoma 3: si tratta dei geni CCR9 e CXCR6, responsabili di richiamare i globuli bianchi e causare infiammazione durante le infezioni, e del gene LZTFL1, che regola lo sviluppo e la funzione delle cellule epiteliali nelle vie respiratorie, condizionando le diverse manifestazioni della malattia. Non è chiaro quale gene giochi il ruolo più importante. Inoltre, lo studio ha identificato altre 17 nuove regioni genomiche (loci) di cui 10 potenzialmente associate a malattia severa e 7 potenzialmente associate a rischio di contrarre l’infezione. “Si tratta di uno studio molto importante per il quale ringrazio il professor Remuzzi e l’istituto Mario Negri. Quando all’inizio mi parlò della possibilità che ci fossero delle ragioni anche di carattere genetico e che fosse necessario fare un’indagine gli dissi subito di sì con grande entusiasmo” ha commentato Fontana che ha poi affermato di credere che i risultati dello studio possano “aiutare ad affrontare e conoscere meglio la situazione è quindi dare risposte più efficienti a questa malattia che, fino a oggi, era rimasta abbastanza sconosciuta”. “Credo che il lavoro sia veramente eccellente, sono contento dei risultati raggiunti e ringrazio tutti gli scienziati che hanno dato – ha poi aggiunto concludendo che “queste risposte ci hanno anche spiegato perché in certe zone ci fosse una diffusione con delle conseguenze gravi e in altre zone magari situazioni analoghe ma con conseguenze molto meno gravi”. (MiaNews)