ll Tai Chi sfida il Parkinson: scienza e armonia per una vita in movimento

Oggi pomeriggio i pazienti affetti da malattia di Parkinson seguiti presso l’Unità Operativa di Neurologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, diretta dal professor Massimo Filippi, ordinario di Neurologia della nostra Università, hanno passato una giornata davvero speciale. Insieme al maestro di Tai Chi, Rolando Dubini, hanno potuto avvicinarsi alla pratica di questa millenaria disciplina cinese.

Il Tai Chi è ormai da decenni considerato un intervento terapeutico rilevante nella gestione della malattia di Parkinson. Numerosi studi scientifici dimostrano gli impatti positivi di questa pratica: dal miglioramento dell’equilibrio, della coordinazione motoria e del cammino, alla migliore esecuzione di attività motorie e cognitive, aspetti cruciali nella gestione di questa patologia neurodegenerativa. Le sequenze e la coordinazione di movimenti controllati e l’attenzione mirata a gesti precisi contribuiscono a contrastare la perdita di stabilità, riducendo il rischio di caduta e migliorando la qualità della vita dei soggetti affetti da malattia di Parkinson.

«Oltre alla dimensione fisica, il Tai Chi si configura anche come una forma di esercizio cognitivo. Gli schemi di movimento complessi richiedono concentrazione e memoria, stimolando la connessione mente-corpo. Questo aspetto contribuisce a migliorare la qualità del cammino e la possibilità di compiere gli abituali gesti della quotidianità, essenziali per preservare l’indipendenza e la funzionalità nella vita quotidiana dei nostri pazienti.» ha dichiarato il Professor Filippi. «Il Tai Chi  è una tecnica terapeutica e preventiva naturale, praticata da secoli nella medicina tradizionale cinese, che fonda la sua specificità sulla concentrazione che deve accompagnare i movimenti dolci e fluidi, adattati alle capacità motorie residue dei soggetti affetti da malattia di Parkinson, e la corretta respirazione nell’esecuzione degli esercizi. E’ una disciplina indicata sia per il miglioramento dello stato fisico sia per ottenere una maggior stabilità psico-fisica» aggiunge la Dr.ssa Maria Antonietta Volontè, coordinatrice delle attività cliniche sui Disordini del Movimento dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. Conclude la Professoressa Federica Agosta, responsabile dell’Unità di ricerca Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e associata di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele: «Questa antica arte marziale è una risorsa preziosa nell’affrontare le sfide fisiche e cognitive legate alla malattia e la sua pratica può rappresentare un importante tassello nella ricerca di soluzioni terapeutiche integrate, offrendo una combinazione di scienza e armonia per promuovere una vita in movimento e per migliorare la qualità di vita di coloro che convivono con la malattia di Parkinson»