Qui, per nevrosi, intendiamo una condizione intrapsichica conflittuale, priva di substrato anatomo-fisiologico documentato, derivante dal mancato accordo tra conscio ed inconscio. Il conflitto si situerebbe tra le componenti pulsionali ed istintive contrapposte agli aspetti psichici consci di derivazione storico-biografica e socioculturale.
La mancanza di un substrato organico evidenziabile nelle nevrosi mette in crisi il concetto medico di malattia, classicamente connesso alla possibilità di identificare anomalie organiche alla base dei disturbi.
L’immaterialità della condizione di sofferenza e disagio psichico della nevrosi ha trovato comunque nelle ipotesi psicodinamiche, originate dalla psicoanalisi, il nesso causale necessario a sostenere il criterio di comprensibilità, proprio della scienza moderna. Alla base di queste “spiegazioni” rimangono comunque sempre ipotesi interpretative, riferibili a specifici modelli teorici di mente.
Alcuni Autori, come Giberti e Rossi R., hanno sostenuto che la peculiare connotazione che sottende il disturbo nevrotico sia la presenza di uno stato d’animo generale, più o meno intermittente, di insoddisfazione, disagio e scontentezza, definibile come infelicità esistenziale. La nevrosi rifletterebbe così una insufficiente realizzazione e un’incompleta validità della propria esistenza e delle personali risorse in modo simile a ciò che Freud definiva la “miseria nevrotica”.
La nevrosi viene definita comunque da caratteristiche psicologiche di base che tendono ad esprimersi sintomatologicamente in modo diverso a seconda della personale disposizione, tra cui la modalità depressiva.
Michele Torre infatti riconosce alla base di tutte le psiconevrosi l’insufficienza esistenziale. Per questo vengono da lui distinti sintomi generali e presenti quasi sempre in tutte le forme (come paura, ansia, angoscia, disturbi sessuali, disturbi del sonno, depressione, astenia, adinatia) e sintomi specifici (quali fobie, ossessioni, disturbi somatici e isterici) propri di particolari forme di nevrosi (fobica, ossessiva, isterica, neurastenica e depressiva)
La depressione, essendo qui considerata un sintomo generale, è quindi quasi sempre presente in tutte le nevrosi, anche se può essere riconosciuta una specifica forma in cui la depressione risulta più evidente e dominante. In questa forma quindi il conflitto o l’insufficienza dell’Io si esprimono in modo prevalente con la depressione dell’umore, associandosi spesso ad altri sintomi caratteristici quali: astenia, pessimismo, disturbi del sonno, idee di colpa, comportamenti suicidari.
Psicopatologia della depressione
La psicopatologia si propone di indagare gli aspetti fondamentali che sottostanno e sostengono un determinato disturbo psichico. Ogni patologia psichiatrica è caratterizzata da un serie di sintomi, che vengono vissuti e descritti dal paziente, ma questi sono a loro volta determinati da alterazioni psichiche più profonde e basilari. Il compito della psicopatologia è quindi quello di identificare i nuclei patologici fondamentali che determinano un disturbo o una sindrome patologica.
Come scrive Minkowski: «la scienza […] man mano che progredisce […] non fa che allontanarsi sempre più dalla sorgente viva da cui ha preso origine, per arrivare alla fine a concezioni che solo l’espressione ultima di questa “astrazione” crescente nei confronti della vita reale […] Il desiderio di riandare all’indietro non può significare che il riprendere contatto con la vita e con ciò che essa ha in sé di naturale e primitivo». Vi è quindi l’esigenza di trovare le radici profonde del nostro essere e delle sue modificazioni, quali quelle dell’umore, ritornando a quelli che Binswanger chiamava i “momenti strutturali costitutivi” dell’esperienza vissuta.
Infatti sebbene si possa ritenere che il tono affettivo sia inderivabile, vi può essere un qualcosa che lo precede e che determina tutto il corteo di sintomi che caratterizza il disturbo depressivo. Ciò, in effetti, non fa che spostare il punto di origine, che rimane tuttavia difficilmente spiegabile; questo in modo analogo alle numerose spiegazioni psicodinamiche della depressione che, oltre a rimanere ipotesi, non sempre giustificano i loro effetti.
Nel caso della depressione è stato posta attenzione a differenti aspetti del funzionamento psichico che possono costituire la base psicopatologica del disturbo.
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Cioran scrisse Al culmine della disperazione a soli 22 anni, mentre si trovava a Sibiu in Transilvania, appena terminati gli studi di filosofia. In quel periodo iniziò a provare un profondo turbamento interiore ed una persistente insonnia, che lo accompagnò per tutto il resto della sua vita, e che lo portò a quella che lui stesso definisce una “vertiginosa lucidità”. Da alcuni questa è stata interpretata come espressione di una forma grave di depressione. Ad altri, una dolorosa illuminazione. Infatti in questa sorta di diario interiore Cioran descrive verità che riappariranno, anche se in modo meno intenso, nei suoi scritti successivi; queste riflessioni possono farci comprendere una possibile genesi della depressione di tipo esistenziale.
Scrive Cioran «Non c’è nulla che giustifichi il fatto di vivere […] Al culmine della disperazione, solo la passione dell’assurdo può rischiarare di una luce demoniaca il caos» egli scrive con parole prive di incertezza. E poi ancora: «Al culmine della disperazione, nessuno ha più diritto al sonno» e ciò «deriva dalla consapevolezza dell’insolubilità di tutte le grandi questioni».
È quindi la consapevolezza dell’assenza di significato del vivere, della mancanza di risposte e dell’assurdità di ogni cosa che porta ad uno stato di disperazione e all’insonnia, come perdita della possibilità di vivere senza coscienza.
«Certi problemi puramente formali […] sono prodotti esclusivamente dalle incertezze dell’intelligenza. Solo il pensatore organico ed esistenziale è capace di questo tipo di serietà, perché solo per lui le verità sono vive, effetto di un tormento interiore e di una ferita organica, e non di una speculazione inutile e gratuita. All’uomo astratto, che pensa per il piacere di pensare, si contrappone l’uomo organico, che pensa sotto l’effetto di uno squilibrio vitale, e che è al di là della scienza e dell’arte. Amo il pensiero che conserva un profumo di sangue e di carne, e a una vuota astrazione preferisco mille volte una riflessione sorta da un’esaltazione dei sensi o da una depressione nervosa».
Intelligenza e pensiero sono visti da Cioran come processi astratti, lontani dalla vive verità, e quindi vuote speculazioni, che comportano solo false certezze. Uomo astratto ed uomo organico rappresentano due modi d’essere, di vivere e di sentire, due opposte dimensioni psichiche.
L’uomo astratto falsifica l’esistenza, costruendo architetture concettuali. Al contrario, il pensiero dell’uomo organico non funziona tramite sofisticate geometrie, quali quelle proprie della scienza e dell’arte, ma vive immerso nel dolore carnale e nel tormento spirituale della mancanza di certezza di ogni cosa. Nel pensiero esistenziale «il mondo delle forme e delle categorie astratte si rivela allora in tutta la sua insignificanza […] Mai, infatti, forma o categoria potranno afferrare l’esistenza nella sua struttura essenziale» poiché «ogni tentativo di trasferire su un piano logico i problemi esistenziali è votato alla sconfitta».
Il pensiero logico, formale e categoriale è qui destinato al fallimento completo, condannato ad ricerca senza fine e alla frustrazione costante ed interminabile di fronte alle grandi questioni sull’esistenza.
Ma lo staccarsi dalle modalità di pensiero tradizionali, l’abbandonare l’illusione delle certezze, accettare la sensazione di vuoto che ne deriva e di espansione verso il nulla, non può che comportare uno stato di melanconia e disperazione.
dal Libro di Lodovico Berra
La dimensione depressiva
Dalla depressione patologica alla depressione esistenziale