Nel 2018 l’atleta Matteo Salandri approda al surf quasi per caso e da lì è stato amore a prima vista.
Matteo, ci racconti il tuo primo incontro con una tavola alle isole Canarie?
Il mio “battesimo” è stato a Fuerteventura dove ho partecipato ad un surf camp trovato, quasi per caso, girovagando per la rete. Era organizzato da una ONG internazionale chiamata “play&train” il cui scopo è quello di avvicinare le persone con disabilità al surf. Il tutto in collaborazione con la surf4all di Livorno, un’associazione con cui tuttora collaboro. Erano presenti persone con diversi tipi di disabilità: sia visiva, come la mia, o motoria. Ricordo che l’insegnante era delle Marche ed aveva aperto una scuola di surf sull’isola. Mi parlava un po’ in italiano ed un po’ in spagnolo, visto che erano ormai tanti anni che si era trasferito. Per prendere la prima onda mi disse di rimanere sdraiato sulla tavola. Fu bellissimo, un’emozione indescrivibile, anche soltanto sentire da sdraiato l’onda che ti spingeva e ti permetteva di “volare sull’acqua”. Con la seconda onda fu diverso, mi venne spontaneo alzarmi e subito l’istruttore mi riprese: “Piano, piano, aspetta, ancora non ti ho spiegato come fare per alzarsi”. Poi man mano miglioravo. Prendere l’onda e riuscire a stare in piedi è qualcosa di difficile esplicazione. Le emozioni sono state tante ed intense. Come una “droga”, prendevo l’onda, planavo sull’acqua e non vedevo l’ora di tornare a rifarlo.
Il camp mi ha anche permesso di conoscere persone di diversa nazionalità, come ad esempio spagnoli e portoghesi. Ricordo che vivevamo tutti dentro un’unica casa e, nonostante la sera non ci fosse un granché da fare, l’atmosfera era bellissima e rilassante. Ci ritrovavamo infatti a rivivere e riparlare di tutto ciò che avevamo vissuto durante la giornata.
Al tuo ritorno hai iniziato a coltivare questo sport in Italia. Oggi dove ti alleni?
Al ritorno mi sono detto: ”Caspita, è bellissimo, devo trovare una soluzione in Italia”. Per tanti anni, insieme alla mia famiglia, siamo stati a Campo di Mare e, quasi per caso, proprio quell’estate nel nostro stabilimento l’attenzione di mio padre fu attirata da un cartello con su scritto: “Scuola di surf”. Così chiedemmo subito informazioni. All’inizio sempre con un po’ di timore per la reazione relativa alla mia disabilità visiva ma, da subito, anche non avendo esperienza in questo tipo di dinamiche l’istruttore disse: “proviamoci!”. Ricordo che la prima volta andai in acqua con Luca ed anche lì fu una bella sensazione. Forse nemmeno lui si aspettava che fossi già stato su una tavola. Poi, successivamente, da Campo di Mare ci spostammo a Santa Marinella, al Banzai, dove sono tuttora iscritto alla Banzai Sporting Club. Cerco di tenere una continuità di allenamento anche con il mare piatto, visto che in quelle condizioni ci si può concentrare maggiormente sugli aspetti tecnici.
A proposito di Surf, com’è andata la tua ultima esperienza in Portogallo?
La settimana di ferragosto è stata, per me, dedicata al lavoro ma, anche in vista di quella che sarebbe stata l’imminente trasferta in Portogallo, ho cercato di allenarmi facendo esercizi a terra. Non c’era particolare rischio relativo al viaggio poiché il surf non è uno sport da contatto. Sono stato in diversi posti, come ad esempio Figueira -vicino Oporto-, Nazaré, Ericeira, Peniche, Cascais e Lisbona. E’ stata una sorta di mix tra visita del Portogallo (anche se non era la prima volta per me) e andare a provare gli spot, cioè i punti dove si formano le onde. Allenarsi con le onde oceaniche del Portogallo è totalmente diverso e le aspettative non sono state deluse. Ci sono state molte sessioni di surf, alcune più semplici ed altre più impegnative ed ho incontrato diversi tipi di condizioni: da quella difficile a quella un pochino più semplice. Dovendo cambiare spot, ogni volta dovevo necessariamente cambiare guida e spiegare le mie esigenze. C’era anche un po’ di timore, perché per alcuni era la prima volta che si trovavano in acqua con una persona cieca, ma alla fine è andato tutto per il verso giusto. Le onde portoghesi nei beachbrek, ovvero nei luoghi con i fondali sabbiosi, sono molto veloci a chiudersi e questo è stato sicuramente molto positivo per il mio allenamento.