Accoltellò una donna alla Stazione Termini di Roma, arrestato a Milano clochard polacco.

È nella caserma Montebello, sede del Nucleo Radiomobile Carabinieri di Milano, l’autore dell’accoltellamento ai danni di una donna alla Stazione Termini di Roma il 31 dicembre scorso.

Secondo una prima ricostruzione, l’uomo (Aleksander Mateusz Chomiak, polacco di 25 anni), è stato riconosciuto e bloccato da due carabinieri: un vice brigadiere del Nucleo Radiomobile e sua moglie, entrambi non in servizio.

Appena saliti sul treno per Brescia, i due hanno riconosciuto il clochard e, prima che il 25enne potesse fuggire, lo hanno bloccato e hanno chiamato i rinforzi. I Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Milano lo hanno condotto in caserma per le procedure di identificazione, al momento in corso.

Il pm di Milano Enrico Pavone inoltrerà domani all’ufficio gip la richiesta di convalida del fermo e di custodia cautelare in carcere per il clochard polacco. Intanto i carabinieri stanno operando in coordinamento con la Polfer di Milano e la Squadra mobile di Roma.

Quando è stato fermato aveva nella borsa due coltelli e un cutter Aleksander Mateusz Chomiak, il senzatetto polacco accusato di tentato omicidio per aver accoltellato, la sera del 31 dicembre, alla stazione Termini di Roma, una ragazza israeliana di 24 anni.

I due carabinieri che lo hanno riconosciuto e bloccato, marito e moglie, stavano tornando a casa a Brescia quando hanno visto il venticinquenne.

In particolare il marito, vicebrigadiere del radiomobile, si è convinto che fosse lui e ha avvisato gli agenti presenti in stazione che li hanno aiutati a bloccarlo prima che salisse sul treno per Brescia, e i colleghi del radiomobile lo hanno poi fermato e portato in caserma.

Quando è stato bloccato non ha opposto resistenza e non ha detto nulla, anche perché parla pochissimo italiano. Non aveva con sé documenti e non ha ammesso la sua identità accertata grazie al sistema di riconoscimento facciale dell’Arma e all’Afis. Descritto come borderline, non ha tatuaggi o elementi che possano far pensare a motivi razziali per l’aggressione.
(ANSA).