A 43 anni dall’incidente della ICMESA a Seveso, il problema della presenza di diossina in tutta la regione è ancora un tema caldo, in particolare in aree agricole. Con l’entrata in vigore il 22 giugno di quest’anno del decreto 46/2019 denominato “Regolamento relativo agli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d’emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento” finalmente l’Italia si dota di una disciplina per le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) dei suoli agricoli e adibiti alla zootecnia, abbassando i limiti consentiti di diossina presente nel terreno, portando la sommatoria di PCDD, PCDF e PCB Dioxin-Like a 6 ng/kg.
«Accogliamo con favore l’introduzione di una normativa che adotta parametri di riferimento appropriati e prudenziali. Fino ad oggi, infatti, un suolo che fosse risultato contaminato sarebbe stato interdetto dalla costruzione di un capannone, ma non dalla coltivazione di verdure per la commercializzazione diretta – dichiara Marzio Marzorati, vicepresidente di Legambiente Lombardia –. Per 43 anni, a Seveso e comuni limitrofi, non è stata emanata nessuna limitazione alle attività agricole (a parte quelle della fase di emergenza) per tener conto dello stato di inquinamento dei terreni che, come emerso nella campagna di analisi condotte in vista dei cantieri di Pedemontana, seguitano a essere contaminati a livelli molto più elevati della CSC posta dal decreto».
Fino ad oggi non c’era una legge unitaria che disciplinasse le soglie di contaminazione dei suoli. Nel caso della Caffaro a Brescia, per esempio, fu il sindaco a emanare un’ordinanza per impedire la coltivazione di suoli contaminati da PCB, in assenza di leggi di riferimento, con il forte rischio di essere denunciato dagli agricoltori per aver abusato dei suoi poteri. Oggi questo decreto pone le basi di una norma specifica che consente di mettere ordine in un settore cruciale non solo per l’economia del Paese ma per la salute dei cittadini, che hanno il diritto di mangiare cibi sani, provenienti da colture sottoposte a rigorosi controlli.
Purtroppo, però, questo decreto si occupa solo degli inquinamenti puntiformi, vale a dire derivanti ad esempio da una preesistente attività industriale o da uno sversamento, e non dell’attuale grande dramma nazionale rappresentato dall’inquinamento che consegue alla diffusa pratica agricola che sta avvelenando il made in Italy agroalimentare: l’utilizzo di pesticidi come il glifosate, che non viene menzionato, mentre si cita il DDT che è già stato bandito, seppur continui ad essere un inquinante persistente nel nostro Paese da 50 anni.
«Ben venga alla nuova norma – conclude Marzorati – ma non si perda tempo, ora è necessario anche emanare appropriati limiti e norme per la tutela dei suoli agricoli, non solo da inquinamenti e sversamenti causati da terzi, ma soprattutto per gli inquinamenti più preoccupanti per la salute umana, che sono quelli conseguenti ad uso e abuso di fertilizzati, pesticidi ed antibiotici impiegati dalla stessa agrozootecnia nel proprio ordinario esercizio».