Nei giorni scorsi un voto a maggioranza della Commissione Agricoltura del Consiglio Regionale ha approvato una risoluzione contro la ‘produzione e immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici’.
Si tratta dell’ennesima puntata di quella che in Italia si configura ormai come una crociata ideologica. La carne ‘sintetica’ intanto non esiste: nessuna carne può essere realizzata per sintesi chimica; semmai parliamo di carne coltivata, ovvero cellule di tessuto prelevate da un animale vivo e coltivate in un terreno nutritivo, all’interno di un bioreattore.
Una crociata, quella contro la carne sintetica, che pare compiacere solo le maggiori corporazioni agricole, e la cui motivazione è far parlare d’altro rispetto ai veri, grossi problemi ambientali che affliggono la Lombardia a causa dell’eccesso di allevamenti intensivi.
La carne coltivata è oggi ancora nella sua fase di ricerca e sviluppo, senza alcuna vera penetrazione sul mercato, anche se molto sostenuta da grandissimi investimenti di industrie private e di centri di ricerca anche pubblici. A sostenere la ricerca sono però i grandi gruppi della macellazione industriale, dalla statunitense Cargill alla brasiliana JBS. La carne coltivata non segnerà certo la fine degli allevamenti, visto che sono gli stessi macellatori che stanno investendo in questo business per espandere il loro mercato.
Tutto bene invece negli allevamenti lombardi, sempre più al centro della cronaca e delle inchieste giornalistiche? Le proteine contenute nelle carni, salumi e formaggi derivano dai mangimi, ed in particolare dalla soia, mangime proteico per eccellenza. Che in massima parte è soia OGM importata da Paesi americani, in cui si fa un uso abnorme di pesticidi rispetto a quanto concesso in Europa. Fino a pochi anni fa eravamo in grado di produrre almeno il mais, l’altro importante ingrediente mangimistico, ma oggi tra siccità e capricci del mercato globale, il mais lo importiamo dall’Europa dell’Est, dove viene coltivato su terreni strappati a praterie e torbiere trasformate in monocolture intensive: sicuri che la carne che mangiamo, o che trasformiamo in prodotti del glorioso Made in Italy, sia molto meglio di una carne ‘sintetica’?
Oltre agli impatti ambientali nei Paesi produttori di mangimi ci sono i danni causati in Pianura Padana, dove l’allevamento intensivo è ormai la prima fonte di crisi ambientale. In Lombardia l’agrozootecnia genera quasi l’11% delle emissioni climalteranti su base regionale, più della metà di quelle prodotte dal traffico stradale. Inquina inoltre le acque, non solo con i pesticidi e gli antibiotici dagli allevamenti, ma anche con i nitrati che si originano dalla decomposizione delle decine di milioni di tonnellate di liquami zootecnici che vengono sparsi nei campi lombardi.
Ancora peggiore è la situazione delle emissioni in atmosfera. Se molte fonti emissive (trasporti, industria, riscaldamento domestico) hanno ridotto il loro peso, ciò non è avvenuto per l’agrozootecnia, che ogni anno rilascia in atmosfera una quantità enorme di ammoniaca, oltre 90.000 tonnellate, ed è ormai la principale fonte di particolato secondario, quindi il maggiore responsabile, insieme alle emissioni da traffico, dell’inquinamento da polveri sottili.
Come recentemente pubblicato dal progetto di ricerca INHALE (Università Bocconi, Centro Mediterraneo sul Cambiamento Climatico e Legambiente), una riduzione dei capi bovini allevati sarebbe in grado di determinare una proporzionale riduzione di inquinamento da polveri (ogni 1% di riduzione del numero di bovini allevati genera una riduzione di quasi 0,3 microgrammi/mc di polveri sottili, pari all’1% della concentrazione media annua nella pianura lombarda).
“Sono tutti argomenti scomodi, parlando di un settore da sempre coccolato dalla politica lombarda,” afferma Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. “Così com’è scomodo il tema sanitario, considerato che nel nostro Paese dovremmo dimezzare i consumi di carni e latticini: altro che preoccuparci della carne coltivata! Occorre affrontare il tema impegnativo ma urgente della ristrutturazione dei settori delle produzioni animali, ma è più facile parlar d’altro, anche a costo di gettare fumo negli occhi dei consumatori.”