Come attirare gli sguardi di tutto il mondo su di una città o su di un paese? Con un’esposizione universale, ovviamente.
È quello che è successo, infatti, dal primo maggio al 31 ottobre 2015 con l’Expo di Milano. Anzi, a voler essere precisi, gli occhi di tutto il mondo hanno iniziato a mettere a fuoco l’evento che si sarebbe tenuto nel capoluogo lombardo ben prima del maggio di nove anni fa.
Dal progetto alle tangenti
Il progetto dell’area espositiva è stato promosso e presentato da un’equipe di architetti capeggiata da Stefano Boeri già a settembre 2009 ed è stato definitivamente suggellato in occasione della presentazione a Parigi, l’anno successivo.
L’area, come è noto, si trova nel settore nord ovest di Milano e per un 10% nell’adiacente comune di Rho. Sono stati necessari anni di cantieri e lavori per adeguare i 110 ettari, precedentemente occupati da impianti di produzione industriale.
Come spesso accade nel nostro paese, però, lavori, cantieri, finanziamenti, appalti e contratti per l’Expo 2015 hanno, purtroppo, attirato gli interessi delle organizzazioni mafiose e di imprenditori e funzionari corrotti.
E così, i giornali di tutto il mondo hanno iniziato a parlare dell’Expo di Milano ben prima dell’apertura dei cancelli, già al momento dei primi arresti (sette persone, tra cui l’AD dell’impresa veneta aggiudicataria degli appalti di costruzione): associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e altro ancora.
Arresti che poi continueranno anche ad Expo terminato, grazie al lavoro meticoloso dei magistrati, che scopriranno nei mesi e negli anni successivi i legami tra Milano e mafia, camorra e ‘ndrangheta.
L’apertura dell’esposizione e alcune cifre per capire
Il primo maggio, come detto, si aprono i cancelli dell’Esposizione Universale di Milano 2015 e i visitatori accorrono: dopo sei mesi, gli ingressi registrati saranno più di 21 milioni, con una media di ben 116 mila biglietti al giorno.
Chi è stato ad Expo, dopo una coda di entrata durata mediamente 2 ore e 45 minuti, ha potuto visitare oltre 15 mila aziende da tutto il mondo, assistere a 700 tra concerti e spettacoli, ammirare 1.100 food show cooking, partecipare a un migliaio di cerimonie e conferenze, godere di 330 eventi di arte e cultura. Gli spazi espositivi e le sale hanno visto passare 60 capi di stato e di governo (tra cui si possono citare Putin, Hollande, Merkel, Cameron, Netanyahu e John Kerry) e alcune centinaia di delegazioni ufficiali (tra le quali spicca quella del segretario dell’ONU, Ban Ki-Moon) e hanno ricevuto ben 270 delegazioni ufficiali.
Chi ne ha beneficiato è stata l’intera economia di Milano e d’Italia, se è vero che il solo indotto è stato conteggiato in 10 miliardi di euro di valore aggiunto, tale da aumentare di qualche punto decimale il PIL del nostro paese. Per avere un’idea dell’impatto finanziario di Expo 2015, basti pensare che nello stesso anno l’introito derivante dalla tassazione del gioco d’azzardo fisico e online presso siti sicuri da parte dello Stato aveva suprato di poco gli 8 miliardi di Euro.
Le critiche ad Expo 2015: poca nutrizione e tanta tecnologia
Ogni Expo si svolge attorno ad un tema e quello di Milano 2015 era “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Ogni paese ha provato ad interpretarlo al meglio e in questo senso il premio (assegnato dalla rivista Exibitor) è stato vinto dalla Svizzera, che proponeva uno sguardo diverso sul consumo consapevole e spingeva sull’importanza di sensibilizzare i singoli ad assumersi le proprie responsabilità nella salvaguardia del pianeta.
C’è stato, però, chi ha criticato l’impostazione e l’organizzazione dell’Expo relativamente alla trattazione del tema. Troppo spazio è stato dato, secondo i detrattori, alla tecnologia come unica risposta ai problemi della povertà e della fame.
Insomma, chi ha avuto più occasioni di mettersi in mostra sono quelle aziende multinazionali dell’agroalimentare che lavorano a stretto contatto con la tecnologia e che, di conseguenza, perorano la causa della ricerca tecnologica e scientifica come strumento per dominare la natura e piegarla alle esigenze dell’uomo.
I critici (Slow Food in primis), al contrario, pensano che sia invece importante andare verso un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente e di quelle popolazioni che pagano sulla propria pelle il benessere della ricca società occidentale; andare in direzione di una politica della nutrizione che riesca a sconfiggere la fama e la povertà.
Ma queste voci e i relativi modelli alimentari più rispettosi della natura e dell’uomo non hanno avuto spazio a Milano: e questa è stata la pecca più pesante di Expo 2015, al punto da far passare forse in secondo piano aspetti come corruzione e collusione con la criminalità organizzata.
E ora cosa succede nell’area dell’Expo di Milano?
Un progetto che si voglia lungimirante e sostenibile nel medio e lungo periodo, deve prevedere anche un riutilizzo dell’area che per sei mesi ha ospitato padiglioni, espositori e visitatori da tutto il mondo.
Cosa fare di 110 ettari di suolo, che, non incidentalmente, si trova a stretto contatto con la Fiera di Milano? Come sfruttare al meglio le opere di bonifica e le infrastrutture realizzate per l’evento del 2015?
Amministrazione e progettisti hanno deciso per l’avvio di un distretto innovativo e tecnologico, che ha preso il nome di MIND, Milano Innovation District.
Posta in liquidazione la società Expo 2015 S.p.A., che aveva organizzato e gestito l’Esposizione, sono subentrati gli australiani della Lendlease, società immobiliare che si è aggiudicata la concessione dell’area per la bellezza di 99 anni, ma anche l’Università degli Studi di Milano, il gruppo di ospedali privati San Donato e il centro di ricerca Human Technopole.
Nel corso degli ultimi anni, poi, un numero crescente di imprese sta trasferendo le proprie attività nel quartiere che ha mantenuto l’originaria forma di pesce realizzata per l’Expo: AstraZeneca e ABB Electrification, tra tutti.
L’idea è quella di concentrare nel settore eccellenza scientifica e attenzione all’ambiente, alla salute e all’inclusione sociale, per fare del MIND un quartiere dove sia bello lavorare, vivere, incontrare e crescere.