«Adesso in Vallaccia demolite tutte le opere e chiusa per sempre la Conferenza di Servizi per i nuovi impianti: la Vallaccia resta alla natura e alle persone che vorranno fruirne rispettandone lo straordinario paesaggio d’alta quota».
È la prima reazione di Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, alla lettura della sentenza della Corte Suprema di Cassazione che, a Sezioni Unite, ha confermato in pieno la validità della sentenza del 2017 con cui il Consiglio di Stato, accogliendo le motivazioni del TAR Lombardia sul primo ricorso di Legambiente, che aveva decretato in via definitiva l’illegittimità del procedimento, portato fino all’approvazione del Consiglio dei Ministri nel tentativo di superare i vincoli paesaggistici e ambientali imposti dalla normativa regionale, nazionale e comunitaria. La Vallaccia, infatti, non è solo tutelata dal Piano Paesistico Regionale, ma è anche una zona di protezione speciale individuata dalla Rete Europea Natura 2000, come sito prioritario per la conservazione della Natura, e come tale ricade sotto la tutela delle direttive comunitarie.
La Corte Suprema non solo ha confermato la validità della sentenza già pronunciata, ma ha anche condannato i ricorrenti – la Società Mottolino e il Comune di Livigno – al pagamento delle spese. Entrando nel merito, la Cassazione ribadisce il pieno titolo del giudice amministrativo a emettere una sentenza che dichiari che la Vallaccia, alla luce del quadro normativo di riferimento, non può costituire un dominio sciabile. Cosa significa? Lo spiega Legambiente, che nella vertenza è supportata e difesa dall’avvocato Francesco Borasi: dal momento che non c’è nessuna istruttoria che possa mutare il quadro normativo di riferimento, il procedimento autorizzativo deve essere definitivamente archiviato. In proposito lo scorso 10 aprile, la Comunità Montana Alta Valtellina aveva riattivato, su istanza della Società Mottolino, una valutazione istruttoria ai fini di riapprovare il progetto bocciato dal giudice amministrativo. Ora, alla luce del giudizio della Cassazione, viene meno qualsiasi residuo presupposto a cui la Società e il Comune possano appigliarsi per tentare di riattivare un procedimento, che non può essere in alcun modo considerato legittimo.
La sentenza della Suprema Corte di Cassazione dice la parola fine su una vicenda che ormai si trascina da un decennio, e che ha già comportato dei forti e ingiustificati esborsi da parte del Comune, oltre a gravi danni ambientali nel momento in cui, con estrema imprudenza, pur in pendenza di giudizio, la società Mottolino era arrivata ad aprire i cantieri d’alta quota realizzando scavi e approntando manufatti che, ora, dovranno essere eliminati, ripristinando i luoghi a spese dei ricorrenti. «Basta con le ambiguità e le compiacenze da parte degli enti pubblici dell’Alta Valtellina, ed in particolare del comune di Livigno: i riflettori su quel territorio rerstano accesi, anche in vista dei Giochi olimpici del 2026. Non vogliamo che le Olimpiadi Invernali diventino un nuovo treno di finanziamenti a supporto di procedure amministrative disinvolte, e non vogliamo che le aree naturali dell’Alta Valtellina ne paghino il prezzo ambientale, come già avvenuto per i Mondiali di Sci del 2005. Amministratori e operatori dell’Alta Valle devono sapere che Legambiente terrà gli occhi ben aperti sul rispetto degli ambienti naturali interessati dall’evento olimpico» conclude Barbara Meggetto.