Boris Johnson ha annunciato formalmente le sue dimissioni da leader del Partito Conservatore britannico, forza di maggioranza in Parlamento, in un discorso alla nazione.
Il premier – travolto alla fine dai contraccolpi degli ultimi scandali e da una raffica di dimissioni in seno alla sua compagine – intende comunque restare capo del governo fino all’elezione di un successore alla guida dei Tories prevista per ottobre, visti i tempi imposti dal recesso parlamentare estivo che inizia fra due settimane.
Johnson si è detto “immensamente orgoglioso” di aver portato a compimento la Brexit nei suoi tre anni a capo del governo, annunciando oggi alla nazione le sue dimissioni da leader Tory, primo passo verso l’uscita da Downing Street. Johnson ha inoltre rivendicato tra i suoi meriti quello di aver fatto uscire il Paese dalle restrizioni Covid per primo in Europa, di aver portato a casa un anno di crescita economica e il record assoluto di occupazione nel Regno.
Ha comunque ammesso che la maggioranza del Partito Conservatore vuole ora un altro leader e che il processo per eleggerlo inizierà domani. Ha quindi ammesso che alcuni saranno “felici” del suo addio, insistendo tuttavia a dirsi fiero, seppure rimpiangendo l’impossibilità di portare a termine altri grandi progetti del programma.
Questa mattina è stato il turno del responsabile del dicastero per l’Irlanda del Nord, Brandon Lewis, secondo il quale l’esecutivo colpito dallo scandalo è ormai “oltre il punto di non ritorno”. “Non posso sacrificare la mia integrità personale per difendere le cose come stanno adesso”, ha detto Lewis, aggiungendo che il partito conservatore al potere e il Paese “meritano di meglio”.
Ieri Johnson aveva risposto picche, secondo indiscrezioni unanimi dei media, alla sollecitazione di parte dei suoi ministri a gettare la spugna alla luce dei contraccolpi dello scandalo Pincher e dell’ondata di dimissioni nella compagine Tory.
Una delegazione composta da almeno una mezza dozzina di ministri rimasti fedeli a Boris Johnson in seno al consiglio di gabinetto – sinedrio del governo britannico composto in totale da una trentina di membri – aveva ieri annunciato di volersi recare dal primo ministro per chiedergli di dimettersi. Della delegazione facevano parte, secondo la Bbc, il ministro-capo gruppo (chief whip) Tory alla Camera dei Comuni, Chris Heaton-Harris, e i ministri dei Trasporti, Grant Shapps; dell’Irlanda del Nord, Brendon Lewis; del Galles, Simon Hurt. Secondo alcune fonti non ancora confermate, ci sarebbe anche Nadhim Zahawi, che appena ieri aveva accettato di restare al governo e di essere promosso da ministro dell’Istruzione a cancelliere dello Scacchiere. Interpellato al riguardo durante l’audizione di fronte al coordinamento dei presidenti di commissione della Camera dei Comuni, cui Johnson ha accettato di sottoporsi malgrado la crisi, il premier ha opposto un no comment, dicendo di non voler parlare di iniziative di cui “non sono a conoscenza”.
Anche la ministra dell’Interno, Priti Patel, super falco del governo Tory annoverata finora tra i lealisti irriducibili di Boris Johnson, aveva chiesto in serata al premier di dimettersi.
Johnson però aveva ribadito di voler resistere per far sì che il suo governo “vada avanti” nel proprio lavoro e e prosegua “ad attuare il programma”. Il premier lo ha detto nel Question Time del mercoledì alla Camera dei Comuni, replicando ai durissimi attacchi del leader laburista Keir Starmer e di altri oppositori, e ritorcendo contro le stesso Starmer le accuse di “mancanza d’integrità”.
BoJo aveva lasciato ancora una volta intendere di voler cercare di resistere durante un’audizione di fronte al coordinamento bipartisan dei presidenti di commissione della Camera dei Comuni. Messo sulla graticola, Johnson ha in ogni caso negato la prospettiva di elezioni politiche anticipate: “Non credo che nessuno le voglia in questo momento” di crisi globale, ha detto. “Credo invece che noi dobbiamo andare avanti, servire gli elettori e affrontare le priorità che stanno loro a cuore”.
“Il compito di un primo ministro nelle difficili circostanze attuali è di andare avanti come io intendo fare, avendo ricevuto un mandato popolare colossale” alle elezioni di fine 2019, ha tagliato corto Johnson di fronte alle nuove sollecitazioni a dimettersi. In un successivo passaggio ha poi detto che “vi è una semplice ragione per cui” i laburisti “mi vogliono fuori” da Downing Street: perché “sanno che altrimenti il governo attuerà il suo programma” sul rilancio economico e sul dopo Brexit, e i conservatori “vinceranno anche le prossime elezioni politiche”. Quanto al caso Pincher, egli è tornato a esprimere “profondo rammarico” e a scusarsi per il comportamento del suo ex alleato di governo e per il fatto che egli fosse rimasto nella compagine malgrado precedenti segnalazioni. Ma non ha risposto a Starmer sul perché lo abbia promosso alla fine a deputy chief whip a dispetto delle informazioni che – dopo le mezze smentite inizialmente fatte diffondere da Downing Street – ha dovuto ammettere di aver avuto sul comportamento passato del suo ex pretoriano.
Incalzato dal leader laburista a confermare o smentire se abbia a suo tempo definito egli stesso Pincher come “un palpeggiatore per natura” giocando sul suo cognome (“Pincher by name, pincher by nature”), BoJo ha tuttavia glissato dicendo non “voler trivializzare” la vicenda. Mentre ha rivendicato di aver alla fine escluso dal governo e dal gruppo Tory l’ex viceministro, trincerandosi per il resto “sull’indagine indipendente” aperta intanto su di lui e sulla riservatezza che essa impone.
“Chiunque si sarebbe dovuto dimettere da tempo nella sua posizione”. Lo ha detto il leader dell’opposizione laburista, Keir Starmer, durante il Question Time alla Camera dei Comuni rivolgendosi al premier conservatore Boris Johnson. Ha poi attaccato il primo ministro per aver promosso “un predatore sessuale”, riferendosi al recente caso Pincher, e poi per gli altri scandali come il Partygate. Starmer ha parlato di “comportamento patetico” di Johnson mentre la “nave affonda e i topi scappano”, ricordando la raffica di dimissioni nell’esecutivo Tory e puntando il dito contro la “disonestà” di tutto il partito di maggioranza. Starmer in un suo intervento ha fatto una ricostruzione molto cruda e dettagliata dello scandalo Pincher, con una descrizione esplicita della molestia che una delle vittime ha denunciato di aver subito da parte dell’ex deputy chief whip. Per poi ricordare come la vicenda sia stata gestita dai vertici Tory, ignorando le accuse contro l’ex viceministro e la testimonianza di chi si era fatto avanti per denunciarne il comportamento. “Sono tutti seduti lì come se questo fosse normale”, ha affermato il leader laburista riferendosi ai banchi occupati dalla maggioranza. Ha quindi dichiarato nel suo affondo finale, sempre prendendo di mira l’insieme dei deputati conservatori e in particolare quanti sostengono ancora il “bugiardo” Johnson: “Nel bel mezzo di una crisi il Paese non merita di meglio di pupazzi di cani che fanno di sì con il muso dietro i vetri delle automobili?”.
“Il troppo è troppo”. Con queste parole Sajid Javid ha motivato oggi alla Camera dei Comuni in un discorso dai toni devastanti per il premier Boris Johnson – paragonato da qualcuno a quello del ministro Douglas Hurd che precedette la caduta di Margaret Thatrcher – le sue dimissioni di ieri da ministro della Sanità dopo lo scandalo Pincher. Javid ha detto di aver in passato concesso più volte “il beneficio del dubbio” al premier su altri sospetti di scandalo, ma di essersi ora convinto che il problema è “al vertice” e che Johnson “non cambierà”. Ha quindi invitato con accenti accorati gli altri colleghi Tory a riflettere, sostenendo che la questione “non è solo personale”, ma che ha a che fare con “il rispetto del rule of law” da parte del Partito Conservatore e con la necessità che la formazione di maggioranza “recuperi la fiducia” del popolo britannico se vorrà vincere anche le prossime elezioni. In precedenza, altri due deputati conservatori, incluso l’ex ministro pro Brexit ed ex candidato leader David Davies, avevano avanzato o rinnovato durante il Question Times inviti espliciti a Johnson a dimettersi. Inviti peraltro respinti dal premier, che rivolgendosi in particolare a Davies lo ha “ringraziato” per la sua franchezza, ma ha insistito di “non poter essere più in disaccordo con lui” questa volta.
(ANSA)