È una presa di posizione netta quella di Legambiente, espressa dalle sedi regionali padane dell’associazione, a favore del Po e della sua rinaturazione, azione tra le più ambiziose di quelle previste dal PNRR, che l’Italia si è impegnata a condurre a termine utilizzando trecentocinquantasette milioni di euro messi a disposizione dall’UE. Risorse che, tra cantieri, indotto e fornitori, sono in grado di generare importanti opportunità per le imprese del territorio, ed anche di alimentare l’acquisizione di competenze, delle imprese e delle istituzioni locali, per continuare a progettare ed eseguire opere volte ad aumentare la sicurezza del territorio rigenerandone l’infrastruttura ecologica.
Si tratta di ripristinare un paesaggio fluviale la cui compromissione è risultato di decenni di sfruttamento eccessivo, di irrigidimento delle opere spondali, di inquinamenti delle acque, degli ecosistemi e delle vegetazioni, e di una generale trascuratezza che è stata rivolta al paesaggio del maggiore fiume italiano.
“I fondi PNRR sono un’occasione irripetibile per la rinascita del Po, un’opportunità troppo importante, in primis per le comunità rivierasche, per essere tenuta in ostaggio da parte di chi, con letture strumentali, o sbagliate, dei dati di progetto, mira solo a confermare uno status quo di degrado ecologico e rischio idrogeologico: basta scuse, è ora di far partire gli interventi!” dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia.
Il riferimento è ai paventati espropri di migliaia di ettari coltivati e pioppeti, quando in realtà i progetti previsti riguardano il ripristino di vegetazioni forestali e di morfologie fluviali per poco più di 1700 ettari, di cui solo il 10% è costituito da terreni coltivati, trattandosi in prevalenza di tratti di alveo, di opere spondali e di terreni incolti.
“Ogni anno, nelle 4 regioni padane, 3000 ettari di terreni vengono lastricati dal cemento e dall’asfalto di capannoni e autostrade: questi sono i numeri della perdita di terreni agricoli, un fatto che pare non preoccupare le associazioni di categoria ma che comporta, anno dopo anno, la sottrazione di superfici all’infiltrazione delle acque di pioggia, aumentando le portate di piena che devono poi defluire lungo il Po: il progetto di rinaturazione va invece nella direzione di rafforzare il Po come grande infrastruttura ecologica da cui dipende, tra l’altro, la sicurezza di cittadini e imprese insediate” dichiara Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia Romagna.
“Il progetto di rinaturazione può diventare l’occasione per dare una continuità all’azione di tutela e ripristino degli ecosistemi, che fino ad oggi è stata intrapresa solo da alcune regioni, come il Piemonte, attraverso l’istituzione di parchi fluviali. Il Po è un bene comune e da tempo si sente l’esigenza di un’azione coordinata tra le diverse regioni per la sua tutela: non sprechiamo questa occasione per lavorare su un progetto finalmente comune,” dichiara Giorgio Prino, presidente di Legambiente Piemonte.
La frammentazione territoriale del bacino del Po è un dato di fatto anche quando si parla di decisioni per la gestione delle acque, in cui ogni regione si mostra sensibile alle cordate di interessi di operatori del proprio territorio. È il caso del progetto di ‘bacinizzazione’ del Po, che i politici lombardi periodicamente provano a riproporre nonostante la sua improbabile sostenibilità idraulica ed economica, e i gravi e irreversibili danni che determinerebbe sulla continuità fluviale. Ma è anche quanto accade, in tempi di siccità sempre più severe, quando si tratta di gestire le acque irrigue: chi sta più a monte tenta di derivare quante più acque possibile, ma il conto lo pagano i territori più a valle.
“Nelle ultime due estati abbiamo condiviso con gli agricoltori polesani l’apprensione per la risalita da record del cuneo salino, dovuta alla drammatica riduzione di portata del fiume a causa dei prelievi irrigui a monte,” spiega Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto. Non osiamo nemmeno pensare a quali conseguenze porterebbe la realizzazione di dighe e bacini lungo il tratto mediano del Po, che genererebbero benefici assolutamente marginali per la navigabilità commerciale ma rischierebbero, in caso di siccità, di determinare un ulteriore calo dei deflussi verso valle.”
Sulla bacinizzazione, che è stato recentemente presentata come alternativa alla rinaturazione, Legambiente è netta. Si tratta di una prassi che aumenta il grado di artificializzazione che, se mai fosse risultata praticabile nei decenni passati – e non lo è stata – nel nuovo contesto climatico non può che essere definitivamente accantonata. Occorre invece aumentare la resilienza del sistema idrico e territoriale del bacino del Po per poter affrontare meglio i prossimi episodi della crisi climatica, e a questo serve un’azione estensiva di rinaturazione: l’auspicio è quello di vedere quanto prima all’opera i cantieri della transizione ecologica lungo il grande fiume!