di Viviana Bazzani
Una fascia rossa che raccoglie la sua cascata di riccioli che incorniciano un viso fanciullesco, puro con il sogno di vivere la libertà di sognare, di amare e di costruirsi una vita alla luce del sole….. Saman era semplicemente questa.
Rimango inorridita dalla spietatezza di un padre è di una madre nel decidere la condanna a morta della propria figlia perché “ribelle” ad un usanza retrograda e primitiva ancora esistente in alcune famiglie Pakistane.
Rimango basita nel vedere che, sui social, sono pochissimi i commenti d’indignazione su questo ennesimo caso di FEMMINICIDIO.
Apro i quotidiani non trovo traccia di frasi di condanna dalle donne della politica italiana che, hanno fatto del FEMMINICIDIO, una loro lotta di partito…. e non importa di quale partito!!!
Non sento la solidarietà delle associazioni femminili sempre pronte a scendere in piazza con al seguito progetti e iniziative. Non so darmi spiegazione o forse si…..
perché il mondo di SAMAN è, per molti, lontano e diverso dal nostro.
Forse, perché non sappiamo o non vogliamo commentare ciò che non conosciamo e, quindi, quale migliore strategia nello stare in silenzio e magari asserire “è meglio fare i fatti e non soffermarsi a stupide parole…”
Quali fatti?.. a volte urlare l’indignazione risveglia le coscenze, smuove gli ingranaggi di una legge “codice rosso” che ha ancora delle forti incongruenze, urlare nelle piazze insegna ai nostri figli che nessuna appartenenza etnica, religiosa e linguistica deve impedire ad una donna di scegliere e di amare senza barriere culturali.
SAMAN oggi è l’emblema di un martirio che ha trovato terreno fertile in un Italia capace di urlare dai balconi “andrà tutto bene” ma incapace di urlare il nome di una donna-bambina che sapeva di andare incontro alla morte.