Ucraina: Refugees Welcome Italia e Airbnb insieme per superare i pregiudizi sull’accoglienza in casa.

Airbnb.org e Refugees Welcome Italia (RWI) hanno formalizzato la loro collaborazione per offrire ospitalità alle persone in fuga dall’Ucraina e dirette in Italia. A darne notizia oggi Giacomo Trovato, AD di Airbnb Italia e Valentina La Terza, Program Manager dell’associazione. E insieme, in concomitanza con la Pasqua, lanciano un appello a chi ha a disposizione un posto letto o un intero immobile. L’esperienza delle persone che hanno aperto le porte di casa,  spiegano, è rassicurante, dal profondo valore umano e conferma l’infondatezza di gran parte dei timori di chi vorrebbe dare una mano ma resta combattuto.

 

La collaborazione

All’inizio del conflitto in Ucraina, Airbnb e Airbnb.org hanno subito annunciato la loro intenzione di offrire gratuitamente alloggi a breve termine a 100.000 rifugiati, sostenendone le spese. Ad oggi, oltre 43.000 host in 160 nazioni hanno deciso di aderire al programma, a loro volta rendendo disponibili immobili a prezzo simbolico oppure gratuitamente. In Italia sono state messe a disposizione oltre 1.700 case. Nel contempo RWI, l’organizzazione indipendente che promuove la mobilitazione dei cittadini per favorire  l’inclusione sociale di rifugiati e rifugiate, si è subito distinta per il ruolo importante nell’emergenza, adoperandosi per offrire ospitalità in casa alle persone in fuga dall’Ucraina, la maggior parte delle quali donne con bambini, anche grazie alla collaborazione con diversi comuni italiani (Milano, Roma, Ravenna, Padova, Bari, Bergamo). Dall’inizio dell’emergenza, circa 4.000 persone, di cui quasi 1.000 a Milano e provincia, si sono iscritte sul sito di RWI per offrire accoglienza agli ucraini e alle ucraine che arrivano nel nostro Paese.

 

Dopo alcune settimane di collaborazione spontanea per ovviare all’emergenza, a RWI è stato garantito il pieno accesso alla piattaforma di Airbnb.org, così da poter operare nella più completa autonomia e immediatezza per offrire soluzioni di alloggio temporaneo per rifugiati e rifugiate, senza distinzione di nazionalità, etnia o genere.

 

La collaborazione con Airbnb è preziosa perché ci permette di offrire immediato alloggio a chi arriva dalla guerra: una casa dove riposare, lavarsi, ritrovarsi. Nel frattempo, noi lavoriamo per individuare una famiglia ospitante. Chiunque di noi dovesse trovarsi solo/a, ha una speranza: essere accolti, aiutati, ospitati. Aprire le porte di casa propria, su Airbnb o su Refugees Welcome, vuol dire proprio questo”, ha dichiarato Valentina La Terza di Refugees Welcome.

 

L’appello a ospitare

Le due organizzazioni hanno rilanciato un appello per trovare nuove soluzioni di ospitalità in casa, compatibilmente con le disponibilità di ciascuno. Perché, indipendentemente dai programmi o dai fondi disponibili per sostenere le spese di ciascun soggiorno, queste risorse rimangono inutilizzate in mancanza di alloggi.

 

A prescindere dalle notizie sulle trattative in corso tra Russia e Ucraina, non bisogna farsi illusioni: l’emergenza umanitaria rimane, e c’è bisogno dell’aiuto di tutti”, spiega Giacomo Trovato, Country Manager di Airbnb Italia. “Siamo grati alla nostra community per la generosità dimostrata fino ad oggi , ma speriamo che altri possano farsi avanti. La collaborazione con RWI è cruciale per poter garantire a queste persone una sistemazione di lungo periodo, cosa che non sarebbe stata possibile operando da soli”.

 

Chiunque fosse interessato ad offrire ospitalità, può registrarsi direttamente sulla piattaforma di Refugees Welcome Italia, mentre gli Host di Airbnb, oppure coloro che vogliono utilizzare la piattaforma in occasione di questa emergenza, possono segnalare la propria casa sul sito di Airbnb.org.

 

Ospitare una persona rifugiata: pregiudizi e falsi miti

“Abbiamo raccolto alcune testimonianze da programmi diversi per dimostrare che l’esperienza di ospitalità non è gravosa come si potrebbe pensare, oltre ad essere, dal punto di vista umano, qualcosa di incredibilmente arricchente. Molti degli scrupoli, ancorché comprensibili, si rivelano ingiustificati”, ha spiegato La Terza.

 

“L’immobile è disponibile solo per un periodo limitato”. Il sistema di accoglienza ha bisogno anche di soluzioni a breve termine, anche se un periodo minimo compreso fra i 15 e i 30 giorni è da mettere in conto. “Queste famiglie hanno alle spalle viaggi estenuanti: hanno bisogno di sentirsi tranquille e di riposarsi un attimo”, continua La Terza. Il modello di Refugees Welcome prevede proprio un periodo di decompressione prima che le persone vengano indirizzate verso una sistemazione di lungo periodo, precedentemente individuata.

“E se poi al check out non se ne vanno?”. “Non vi nascondo che il pensiero mi ha sfiorato, e sicuramente ci vuole un minimo di flessibilità, ma appena i miei ospiti sono arrivati, mi sono sentita in imbarazzo: non facevano altro che scusarsi per il disturbo e  parlare di quando potranno tornare a casa”, rivela Elena, host di Milano che ha aperto la propria  casa a una mamma e una bambina. “Aiuta la comunicazione costante con gli enti, senza contare che le organizzazioni che si occupano di accoglienza spesso hanno già un progetto per il lungo periodo.”, ribadisce Trovato. Infine, vi sono inoltre numerose situazioni di rifugiati in transito, il cui progetto è quello di potersi ricongiungere con un familiare  altrove.

E se non ci capiamo?”. “La difficoltà di comunicazione è un tema reale, in pochi parlano l’inglese, figuriamoci l’italiano” spiega Veronica. In assenza di un interprete, le app di traduzione per smartphone offrono un più che valido supporto. “Senza dimenticare che, specialmente coi bambini, bastano davvero un sorriso e pochi gesti per capirsi”.

Ho paura di non farcela. Mi sembra un impegno gravoso”. “Il senso di responsabilità che uno si sente addosso è innegabile. Bisogna però essere chiari con sé stessi e con la rete di accoglienza. Anche solo offrirsi di accompagnare gli ospiti fra comune, ATS e questura può portare via delle giornate intere, perciò è meglio verificare bene chi potrà occuparsene, così come bisogna essere chiari per esempio sugli spazi in condivisione, se si lavora da casa”, racconta Cinzia di Lecco. “Nel mio caso, però, ho potuto contare su una spontanea e diffusa solidarietà del vicinato: dalla spesa fino ai giochi per i bambini oppure nelle altre incombenze, tutti erano pronti a dare una mano. Pensavo di essere sola, ma mi sbagliavo”. Piuttosto, non è da sottovalutare l’aspetto psicologico. “Vista la situazione, far sentire un ‘muto’ supporto, una presenza gentile e discreta, è probabilmente la strada giusta. Fare domande sulla guerra è indelicato se non traumatico. Meglio aspettare che sia l’altro a voler parlare”. Ma attenzione a non esagerare: il rischio è che gli ospiti si sentano isolati a casa di sconosciuti in un paese straniero. E’ bene accertarsi per esempio che abbiano accesso alla rete e al telefono, così da poter contattare i propri cari.

“E se non sono vaccinati?”. “Anche se si stima che solo il 35% della popolazione ucraina abbia completato il ciclo vaccinale, le procedure sono piuttosto chiare, a cominciare dalla visita in ATS per attivare lo screening sanitario”, spiega La Terza . “Una volta constatata la negatività degli ospiti, che saranno comprensibilmente provati e che inizialmente passeranno la maggior parte del tempo in casa a riposare, anche la paura del covid verrà meno”.