di Achille Colombo Clerici
All’inizio di ogni anno la speranza di ognuno è che il nuovo sia migliore di quello che si è concluso. Assieme alla speranza, c’è il timore, carattere proprio della natura umana. Ebbene, qual è nella percezione degli italiani la maggior minaccia gravante sul nostro Paese?
Un sondaggio dell’ISPI-Istituto per gli Studi di Politica Internazionale fornisce risultati interessanti se non addirittura sorprendenti, in una serie storica che mostra le variazioni dal 2014.
Le considerazioni sul piano interno. Il timore principale riguarda la situazione economica (spread, tenuta dei conti) decisamente al primo posto per 56 italiani su 100. Il picco era stato raggiunto nel 2014 con il 67%: dopo un calo deciso nel triennio 2015-2017, è tornato a crescere nel 2018. Evidente la convinzione che l’andamento generale dell’economia possa influire sulle possibilità di lavoro, di guadagno di risparmio, e sulla sicurezza del vivere.
Sorprende il dato sull’immigrazione: pur risultando al secondo posto, preoccupa solo 12 italiani su 100, dopo aver toccato il massimo nel 2016 e nel 2017 (22%), anni di grandi sbarchi sulle nostre spiagge.
Il rapporto tra Italia ed Unione Europea, comparso per la prima volta nel 2018 (11%) , si è ridotto ad 8%; new entry il tema dei cambiamenti climatici (7%) assente negli anni precedenti. Seguono, a pari ‘demerito’, la crisi dell’Europa – Brexit, populismi, ecc. – e le politiche di Donald Trump il cui dato si e’ triplicato (6%) rispetto al 2% del 2018. Chiudono la classifica il terrorismo islamico – che con il 3% è abissalmente lontano dal 26% del 2015 – e il deterioramento dei rapporti con la Russia (2%).
Le considerazioni sul piano globale. Sempre per noi italiani, le minacce che interessano il resto del mondo vedono al primo posto i cambiamenti climatici in misura del 28%, quindi la crisi economica (13), il terrorismo islamico (12) seguito a ruota dalle politiche di Trump (10). Importante anche un’altra rilevazione della ricerca ISPI: la quota di chi guarda esclusivamente all’orto di casa, cioè alll’Italia, è passata in cinque anni dal 25% al 40% e, per contro, la quota degli interessati a quanto avviene al di fuori dell’Italia è diminuita dal 23% al 17%; lo conferma d’altronde il ‘provincialismo’ dei nostri mezzi di comunicazione. E questo, in un mondo strettamente interconnesso, non è un bene.