Cambiare lavoro spesso, tecnicamente job hopping è una nuova tendenza, nata in America, ma in via di diffusione anche in Italia. “Si dice sempre che il tempo cambia le cose, ma in realtà devi essere tu stesso a cambiarle”. La citazione, attribuita all’eclettico Andy Warhol, è oggi più che mai valida anche per il mondo lavoro: cambiare all’incirca ogni 2 anni, per avere stipendi più alti, ma soprattutto ridurre lo stress, vivere situazioni nuove che ridanno linfa al quotidiano ed essere più felici è un bel progetto che tanti provano a mettere in pratica. Secondo uno studio condotto dall’agenzia californiana di HR Robert Half, negli Stati Uniti sarebbero job hoppers il 64% dei lavoratori, il 22% in più rispetto a soli 4 anni fa. Sono soprattutto i giovani a saltare da un ufficio all’altro, complice l’epoca dei contratti a progetto e le opportunità delle rete con l’invio del curriculum online o utilizzandoi network professionali. Il tempo della fedeltà all’azienda sembra non essere più l’unico valore da considerare, la flessibilità è un valore sempre più apprezzato.“Negli ultimi anni è cambiata la prospettiva anche in Italia e in Europa: aumentano le persone che scelgono di rimanere nella stessa azienda solo per brevi periodi – afferma la prima Master Certified Coach in Italia, Marina Osnaghi – Non si pensa più alla carriera come ad un percorso lineare, che va dalla cosiddetta “gavetta” all’esperienza, ma si cambia frequentemente alla ricerca di benefit più vantaggiosi. Come evidenziano gli studi di Kenneth, Brousseau e Driver, ognuno di noi costruisce il proprio percorso di lavoro privilegiando asset diversi con un forte impatto sulle scelte di carriera: c’è chi dà più importanza ad aspetti economici, chi valoriali e chi di relazione. I ricercatori sono arrivati a isolare 4 profili principali di carriera che hanno un impatto anche sul nostro comportamento quotidiano”.Ad essere affascinati dalla tendenza del job hopping sarebbero soprattutto i più giovani: secondo l’ultimo report annuale di LinkedIn, negli Stati Uniti i millennial cambiano quasi 2,85 posti di lavoro nei primi 5 anni dalla laurea, contro una media di 1,6 della generazione precedente. A spingerli a farlo, secondo un articolo della statunitense NBC, sarebbero, tra le altre cose, motivi economici: chi cambia spesso guadagna di più. Inoltre, è sempre più facile cercare lavoro: non è più necessario stampare pagine e pagine, basta un click per inviare il CV in qualsiasi parte del mondo.
A guidare le scelte di chi fa job hopping è soprattutto la ricerca di un maggior equilibrio. In un articolo apparso su USA Today si sottolinea come cambiare lavoro e interrompere la routine permetta di essere più felici, più sani e avere più successo. Si potrebbe essere spinti a pensare che avere brevi esperienze sul proprio curriculum renda più difficile trovare un altro lavoro, ma non è affatto così. Fino a qualche anno fa la “fedeltà all’azienda” era considerato un valore imprescindibile e portava a guardare con diffidenza quei profili più mobili e transitori, ma ora il paradigma si è evoluto.
Ma come sappiamo quando arriva il momento di cambiare? “Le persone sperimentano spesso sentimenti contrastanti – spiega la master coach Osnaghi – A volte sono divise fra quel che desiderano, quello che pensano di dover fare e quello che sognano ma sembra irraggiungibile o di difficile realizzazione. Le regole del contesto sociale in cui vivono fanno poi il resto a seconda della flessibilità o meno che incarnano. Questo porta allo scatenarsi di conflitti e stress a volte incomprensibili sia in famiglia sia a casa. Questi conflitti sono spesso uno specchietto delle allodole che nasconde la demotivazione, il ciclo è finito e cambiare fa paura e costa spesso molta fatica; a volte è difficile dirselo o capire che è così. Dobbiamo essere consapevoli di questi condizionamenti (in molti abbiamo un mutuo da pagare e una famiglia da mantenere e lo stipendio serve), ma anche dei nostri desideri e non temere di partire alla ricerca di una soluzione migliore”.
Ma come è possibile valorizzare al meglio le risorse ed evitare che scappino? Ecco i 3 consigli della master coach:
1. Analizzare con meno diffidenza i giovani che cercano di ottenere condizioni migliori per se stessi permette di individuare talenti e di operare per la Job Retention.
2. Gestire percorsi di carriera individuando gli elementi motivazionali della persona in primis da parte delle aziende, che in molti casi hanno organizzazioni flat che offrono pochi sbocchi di crescita, permette di avere collaboratori più soddisfatti e quindi più performanti.
3. Gestire con cura i colloqui con i collaboratori permette, a entrambe le parti, di capire le varie prospettive che potrebbero generare conflitti nel gruppo di lavoro o col capo, con notevole effetto positivo su stress e conflitti.
Infine, ecco le 8 domande che Marina Osnaghi invita a porsi per capire se il lavoro praticato rende realmente soddisfatti e felici:
1. Quali sono gli elementi che mi soddisfano o scontentano nel contesto della mia professione?
2. Quale disegno/ciclicità intuisco nel mio percorso lavorativo rispetto all’esperienza maturata negli ultimi anni?
3. Quali sono i miei obiettivi?
4. Quali sono gli elementi che mi condizionano?
5. Quali sono le mie attitudini personali (senza farsi condizionare da schemi e convenzioni)?
6. Qual è il posto di cui ho veramente bisogno?
7. Vale davvero la pena di cercarlo?
8. Qual è il punto di equilibrio fra obbligo (le incombenze della vita) e desiderio (quel che vorrei)?