di Achille Colombo Clerici
Milano è una città in continua trasformazione. Se la sua anima innovativa le ha consentito di adattarsi ai mutamenti economici e sociali globali senza traumi – basti pensare al passaggio, in pochi decenni, da città fordista a città del terziario, quindi della tecnologia, dei servizi avanzati, della conoscenza – essa ha talvolta rinunciato a identità, tradizione e cultura. Anche nel suo aspetto fisico, nella sua architettura e nella “forma urbis”.
Al recente convegno “Rinnovare il moderno” organizzato dall’Ordine degli Architetti di Milano ho sollevato la questione con una domanda provocatoria: “C’è ancora una cultura architettonica milanese o mancano gli architetti in grado di interpretare il genius loci ? E dunque importiamo una architettura estranea alla nostra cultura?”. Cos’hanno di milanese – mi chiedo e lo chiedo agli urbanisti – Porta Nuova e City Life se non il terreno su cui sorgono (anche i capitali sono stranieri)?
Due importanti riviste di architettura – Abitare e Domus – hanno affrontato lo stesso tema citando esempi di snaturamento di alcuni edifici simbolici dell’architettura moderna milanese: la Torre Velasca, il Pirellino, la Torre Galfa i cui interni vengono radicalmente modificati per adattarli a nuove funzioni. Per non parlare degli storici edifici di Piazza Cordusio ridotti a caffè e ad outlet.
Con il suo patrimonio novecentesco Milano è stata esempio al mondo occidentale di stile architettonico, studiato in molte università. Sono in arrivo investimenti immobiliari per 12-15 miliardi nei prossimi 10 anni: fonte, i grandi fondi internazionali che intendono, ovviamente, trarre il maggior profitto da quanto investono. Ma quanto si preoccupano di preservare l’identità della città ?
Tutelare l’architettura novecentesca non vuol dire ingessare Milano – perche’ non sussiste incompatibilita’ fra stile e funzione – ma significa conciliare ‘milanesità’ e sviluppo. In questo compito-missione Comune e Soprintendenza sono i primi enti ad essere chiamati in causa. Ma anche i professionisti – architetti, ingegneri, urbanisti – hanno una responsabilità fondamentale, a prescindere dalle archistar.
Secoli or sono gli italiani sono stati definiti ‘popolo di mercanti senza bandiere’: vogliamo continuare ad esserlo ancor oggi, anche in architettura?